IL TELEGRAFO SENZA FILI
SISTEMA MARCONI
Alcuni mesi fa, quando giunsero in Italia le no-
tizie degli esperimenti eseguiti dal Marconi a Lon-
dra sulla trasmissione dei segnali a distanza senza
l'aiuto di fili di unione, i cultori delle scienze fìsiche
cercarono di spiegare il fenomeno attribuendolo agli
effetti delle onde di Hertz, ed alcuni di essi tenta-
rono di riprodurre il fenomeno stesso per mezzo di
semplici oscillatori. Qualche notizia parve però poco
trovarsi d'accordo con alcune proprietà delle onde
hertziane, e fu dubitato che col semplice impiego
di queste onde si potessero raggiungere distanze
considerevoli.
Dopo che a Roma abbiamo potuto esaminare gli
apparecchi Marconi, assistere ai diversi esperimenti,
indagare le cause determinanti gli effetti, dobbiamo
riconoscere che i giudizi erano precipitati e che il
nuovo sistema sarà foriero di conquiste per la scienza
e per la pratica.
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È interessante conoscere il periodo preparatorio
che traversò il Marconi prima di giungere alla sua
invenzione.
Anima appassionata per lo studio delle applica-
zioni elettriche, il Marconi ebbe a Livorno un lungo
insegnamento della fìsica dal prof. Vincenzo Rosa.
L'affettuosa insistenza con la quale il Marconi
dichiara di avere avuto a maestro il prof. Rosa, in-
duce a credere che il periodo di quelle lezioni si
colleghi con i primi tentativi della sua scoperta.
Invero, da Livorno passato ad una sua villa presso
Bologna, si mise subito a ripetere gli esperimenti
dell'Hertz sulla produzione delle onde elettriche e
sulla loro azione a distanza. A Bologna frequentò il
laboratorio del prof. Augusto Righi, il quale lo ono-
rava della sua amicizia e gli era largo di consigli.
Il Righi, fisico esperimentatore per eccellenza,
fino dal 1893 istituì delle ricerche per dimostrare
un comportamento identico fra i raggi hertziani e
quelli luminosi, e recentemente raccolse i suoi la-
vori in un libro che fa onore all'Italia.
Durante questi esperimenti sulle onde di Hertz
il Marconi intravide la possibilità di trasmettere
praticamente segnali a distanza, iniziò dei veri e
propri esperimenti di telegrafia senza fili ed ottenne
risultati soddisfacenti.
Le ricerche scientifiche per stabilire le comuni-
cazioni fra luoghi lontani senza l'intermediario di
conduttori di unione, erano state iniziate già da
molti e da molto tempo.
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Tralasciando di parlare dei molti esperimenti
eseguiti nel passato, voglio citare una memoria di
V. M. Berthold avente per titolo « Per la storia della
telegrafia senza fili » pubblicata nel Electrical Review
di New-York nel 1894. In questa memoria si parla
dalle prove fatte del Morse, l'inventore dell'appa-
rato telegrafico che porta il suo nome, nel 1842 e
dal Vail nel 1845, fino a quelle più recenti di Des-
bordes, Treves, Palart e Mac Ever eseguiti allo
scopo di scambiare dei segnali fra le navi e fra
queste e la terra.
Un'altra memoria sulla telegrafìa senza filo fu
presentata dallo Stevenson alla Società reale di
Edimburgo nel 1894. In essa erano esposti i dati
relativi per comunicazioni fra navi e navi, ed era
redatto un progetto per mettere in comunicazione
il faro di Muckle Flugga (il punto più settentrio-
nale delle isole brittanniche) con la terra ferma,
varcando senza filo il canale interposto di 800 metri,
nel quale è ineseguibile la posa di un cavo , qua-
lunque. Questo progetto si basava su esperimenti
eseguiti nei campi di Marrayfleld ad 800 metri di
distanza con rocchetti di filo di ferro aventi il dia-
metro straordinario di 180 metri! Questo sistema,
credo che già funzioni a Muckle Flugga.
Ricorderò che nel 1884 i telegrammi attraverso
fili isolati ed interrati nelle vie di Londra furono
letti su circuiti telefonici a 25 metri di distanza
passanti sui tetti delle case. Nel 1885 si constata-
rono le perturbazioni dei circuiti ordinari telegra-
fici prodotte a 600 metri di distanza, si trasmisero
conversazioni telefoniche attraverso un quartiere
di Londra alla distanza di 1600 a 2000 metri, e
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nel 1887 fu provato che gli effetti sopra accennati
derivavano unicamente dalla induzione magnetica,
senza che la terra funzionasse in alcun modo da
conduttore.
Nel 1892, tornata in voga la quistione della te-
legrafìa senza fili, furono scambiati dei telegrammi
attraverso una parte del canale di Bristol fra Pen-
arth e Flat-Holm, e nel 1895, essendosi rotto il cavo
fra Oban e l'isola di Mull, il Preece stabilì la comu-
nicazione tra l'isola ed il continente, disponendo
due circuiti paralleli su ciascuna riva e trasmet-
tendo dei segnali attraverso lo spazio mediante cor-
renti indotte.
Nei primi tentativi di telegrafìa senza fili si cercò
di utilizzare la conduttività dei corsi di acqua o del
suolo: si aveva in allora un vero passaggio di corrente
elettrica tra la stazione, trasmittente e quella rice-
vente; negli esperimenti dello Stevenson, del Preece
e di altri non si avevano fra le due stazioni ne co-
municazione metalliche ne comunicazioni fittizie di
fiumi, o di laghi, o del suolo, ma la trasmissione
avveniva pel fenomeni d'induzione.
Il giovane Marconi, che certamente conosceva
gli studi e gli esperimenti del Preece, ebbe ancora
un'altra felice idea quando decise di partire, per
Londra e recarsi dal Preece, elettricista capo dei
servizi telegrafici inglesi, ad esporgli il nuovo tro-
vato, poiché colà ebbe quell'accoglienza, quell'aiuto,
quei suggerimenti che altrimenti, forse, giammai
avrebbe potuto sperare.
Ed attraverso il canale di Bristol, ove, come ab-
biamo detto, il Preece nel 1895 aveva istituita una
provvisoria comunicazione a distanza mercé l'azione
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di circuiti elettrici paralleli, attraverso il canale di
Bristol fra Penarth e Weston, a circa 15 chilometri
di distanza, furono lanciati, nel maggio scorso, dei
messaggi col nuovo sistema del giovane inventore
italiano.
Prima di entrare a descrivere il nuovo sistema
bisogna premettere alcune considerazioni di ordine
generale, le quali, sebbene relative ad altri feno-
meni, mettono in grado di studiare efficacemente il
problema che ci interessa.
Quando si produce una scarica elettrica, possono
avvenire due fatti singolarmente distinti, che carat-
terizzano la scarica stessa. Può avvenire che la
scarica avvenga con periodicità, cioè con moti vibra-
tori o per onde, e può avvenire che si effettui con
moto brusco ed irregolare.
Orbene, intervenendo le scariche elettriche nel
sistema Marconi, occorre ricordare ciò che s'intende
per moto vibratorio in generale, e quali sono le pro-
prietà fondamentali di questi moti.
Ricorriamo perciò a degli esempi.
In natura si hanno i fenomeni del suono che si
propagano per onde, e l'esempio del sasso gettato
nell'acqua che determina attorno a sé una succes-
sione di onde è troppo noto per doverci insistere
sopra.
Più istruttivo è l'esempio della corda istrumen-
tale che, pizzicata in un punto, si mette a vibrare :
la vibrazione varia colla potenza di eccitazione e
colla posizione dei punto eccitato. Se la corda, tesa
fra A e B, si eccita alla metà, la vibrazione avviene
— 8 —
come indica i a figura tratteggiata, avente la forma
di un fuso (fig. 1”). In allora sarà emesso un suono
come indica la figura tratteggiata, avente la forma
.
che si chiama la nota fondamentale di quella corda;
i punti fissi come A e B si chiamano nodi; i punti
medi aventi la massima ampiezza di oscillazione si
chiamano ventri; il tempo durante il quale si compie
un'oscillazione si chiama periodo.
Se si volesse rappresentare con una linea la po-
sizione che un punto della corda — i nodi esclusi —
assume col variare del tempo, si troverebbe la curva
An Cp B (fìg. 2") che ci esprime una vibrazione. Esa-
miniamo un po' bene come parli allo spirito questa
figura 2°. Consideriamo quindi un punto m della
corda, quando essa sta tesa (fig. 1") ; incominciando
la corda a vibrare, il punto si alza, per es., dalla
parte superiore, e, dopo un certo tempo, arriva in n,
alla posizione più elevata del suo percorso; dopo
si abbassa, e passando per la posizione iniziale m,
segue un cammino opposto, raggiungendo un mas-
-9-
simo in p, per ritornare in fine alla posizione pri-
mitiva. Se supponiamo che la retta AB rappresenti
il tempo che ha impiegato questo punto ad andare
da m in n, poi da n a p e da p ad m e se, corri-
spondentemente alle frazioni di questo tempo (che
sono porzioni della retta AB) si tirano delle per-
pendicolari eguali alle alle altezze raggiunte dal
punto vibrante, al disopra e al disotto di AB, se-
condo che queste altezze si riferiscono alla parte
superiore m n od inferiore m p della corda; riunendo
tutte le estremità di queste altezze riportate, si ot-
tiene la curva A C B, che fa appunto vedere come
vari la posizione del punto vibrante a decorrere del
tempo, come graficamente si segni quello che s'in-
tende per vibrazione. La retta AB di questa figura
indica dunque il tempo di una vibrazione completa;
essa è ciò che abbiamo chiamato « periodo ».
Vediamo ora quello che accade eccitando la corda
ad un quarto della sua lunghezza mentre al punto
di mezzo è tenuta fìssa con un dito. Quello che ac-
cade ce lo insegna la fìg. 3", che rappresenta la corda
in vibrazione. Invece di un'onda ne abbiano due;
invece di due nodi ed un ventre abbiamo due ventri
e tre nodi; invece di un periodo di oscillazione eguale,
per esempio, ad un secondo, si ha un periodo di un
mezzo secondo.
Si comprende di leggeri come queste vibrazioni
possano essere moltiplicate, come la loro ampiezza
— 10 —
possa divenire più o meno grande, come il periodo
di oscillazione possa ridarsi ad un tempo più o
meno breve; però — qualunque sia il modo col quale
la corda istrumentale viene eccitata — si ripete, e
l'esperienza lo conferma, un fatto di eccezionale im-
portanza, che cioè le note emesse dalla nostra corda
daranno sempre luogo ad onde della stessa natura,
ad onde aventi e nodi, e ventri, e relativo periodo
di oscillazione.
Generalizzando dunque questo concetto dedur-
remo che i molteplici suoni degli istrumenti e della
voce umana sono il risultato di vibrazioni che si
differenziano pel loro numero al minuto secondo.
Ricordiamo infine come avviene la propagazione
dei fenomeni luminosi.
Il mezzo che trasmette il suono abbiamo detto
che è l'aria, perché togliendo l'aria i suoni restano
spenti; il mezzo di propagazione della luce non può
essere l'aria, perché togliendo l'aria da uno spazio
la luce seguita a traversarlo, perché tra gli spazi
intraplanetari l'aria non esiste e la luce passa. Le
conquiste della matematica superiore confermate
dalle investigazioni della fìsica sperimentale moderna
hanno accertato che il veicolo trasmittente i raggi
luminosi è un corpo elastico imponderabile che si
trova sparso dovunque, che è chiamato etere.
Tolta la serie magnifica ed infinita dei colori si
ottiene dalle vibrazioni eteree.
A giudicare dagli effetti, la mente si presterebbe
ad immaginare che per i diversi gruppi di colori
esistessero particolari moti dell'etere governati da
leggi diverse. Invece non è così. I moti avvengono
sempre per oscillazioni, aventi identica natura e solo
- 11 -
| diverse fra loro per la frequenza, vale a dire per il
il numero di oscillazioni prodottesi nell'unità di tempo.
Possiamo dunque dedurre che tanto la immensa
diversità dei suoni, come la enorme variabilità dei
colori non consiste in altro che nel variare opportu-
namente la frequenza delle onde sonore e la fre-
quenza delle onde luminose. Ma quante mai sono
queste vibrazioni dell' aria e dell' etere che si com-
pieno in un secondo?
Nella trasmissione dei suoni il numero che esprime
le oscillazioni che si compiono in un secondo è un
numero di moderata grandezza; per esempio, il la
— la normale— compie 435 vibrazioni al secondo;
nelle trasmissioni dei raggi luminosi i numeri che
esprimono le oscillazioni compiute nell'unità di tempo
sono di grandezza veramente straordinaria; per un
raggio di luce rossa le onde si seguono colla rapi-
dità di circa 440 bilioni al secondo, per un raggio
di luce violetto si arriva all'enorme numero di
1000 bilioni di oscillazioni.
Per le precedenti cognizioni noi abbiamo acqui-
stato un' idea sufficientemente chiara del meccanismo
— diciamo così — della trasmissione del suono e
della luce, o, per lo meno, abbiamo potuto fermare
la nostra attenzione su fatti fondamentali che bi-
sogna tener presenti per investigare il fenomeno delle
scariche elettriche, il quale — come abbiamo indicato
sin da principio — si manifesta in due modi diversi.
Conviene ripeterlo ancora una volta: Fonda che
ci porta l'espressione di una voce lontana, il raggio
che ci manda un astro dal cielo, sono onde regolari,
oscillatorie periodiche dell'aria e dell'etere, la scarica
elettrica che produciamo in un conduttore può ma-
infestarsi con una successione di rapidissime oscilla-
zioni, paragonabili a quelle della luce, ma può ma-
nifestarsi anche con uno sposta-
mento elettrico il più irregolare.
Esaminiamo per prime quelle
scariche che si effettuano per una
successione di moti vibratori
Si abbia perciò un circuito elet-
trico composto da una macchina
elettrostatica M e da due condut-
tori metallici terminati con sfe-
rette metalliche mn, messe quasi
a contatto, cosicché avvenga fra
loro uno schioppettìo di scintille
tutte le volte che la macchina agisce (fig. 4").
Queste scintille avranno forma oscillatoria, od
avranno forma irregolare?
Fu sir W. Thomson che stabilì nel 1857 teore-
ticamente le condizioni le quali dovevano soddisfare
i conduttori di un circuito, perché le scariche in
questi manifestate avessero moti oscillatori.
Ed il Thomson — il fisico più geniale del nostro
secolo — arrivò perfino a fissare, per determinate
dimensioni dei conduttori, il numero straordinaria-
mente grande di oscillazioni che per ogni scarica si
ottenevano al secondo. Questi, meravigliosi risultati
del calcolo matematico non potevano avere la san-
zione esperimentale, inquantochè non si conoscevano
i mezzi per misurare un'oscillazione la cui durata
si computa per es. un centomilionesimo di secondo
Enrico Hertz — il giovane scienziato rapito nel
fiore dalla vita agli studi ed all'umanità — nel 1894,
nel dare la dimostrazione sperimentale della teoria
— 13 —
del Maxwell, secondo la quale l'elettricità si propaga
per moti vibratori dell'etere come la luce, materializzò
per così dire l'onda elettrica, arrivò cioè a disporre
nel suo laboratorio dei fili conduttori nei quali si
potevano rilevare i nodi, i ventri, il periodo delle
onde elettriche, come è stato agevole a noi di rile-
varli nella corda istrumentale ecci-
tata. Enrico Hertz adoprò oscillatori
analoghi a quelli che erano stati in-
dicati dal Thomson, e siccome dalla
grandezza del periodo di oscillazione,
ammesso come nota la velocità di
propagazione dell' elettricità, si può
dedurre la frequenza dell'onda elei-
trica, così rimaneva agevole verifi-
care i teoremi del Thomson, vedere
cioè se il numero delle oscillazioni
calcolate per dati oscillatori corri-
spondevano a quelle dedotte dalla
misura diretta. (*)
Oramai tutto questo nuovo or-
dine d'idee della fìsica moderna è stato mutua-
mente sanzionato dalle speculazioni teoretiche e spe-
rimentali; per cui quando noi costruiamo un oscil-
latore, un apparecchio cioè come quello della fìg. 5”,
costituito da due tubi di ottone uniti a due sfere
R, R, pure di ottone, e dalle dimensioni deduciamo
che fra le sfere scoccando una scintilla, questa è la
(*) La velocità della luce è di 300,000 chilometri al minuto secondo.
La distanza colla quale si seguono le vibrazioni dei raggi luminosi
visibili è in media di 1/2 millesimo di millimetro. Vedendo quante
volte il millimetro entra in 300,000 chilometri, si ottiene quante vibra-
zioni al secondo si compiono; cioè 300,000 chilometri /1/2 millesimo di mmillimetro= 600 bilioni
di vibrazioni.
— 14 —
risultante di vibrazioni che si compiono in ragione
di centinaia di milioni al secondo, affermiamo un
fatto previsto dalla teoria e confermato ornai dal-
l’ esperienza.
Abbiamo parlato delle scariche elettriche oscil-
latorie, parliamo brevemente di quelle senza rego-
larità alcuna.
Si abbia un filo di rame od un altro metallo qua-
lunque A, e in questo conduttore s'inserisca una
pila P (fig. 6") ; ogni volta che chiudiamo quel cir-
cuito, ossia stabiliamo la continuità metallica fra un
polo a e l'altro b della pila,
una corrente circola nel con-
duttore. Se interrompiamo in
un modo qualunque la conti-
nuità metallica fra a e 6, la cor-
rente cessa istantaneamente.
Però, tanto nel chiudere quel
circuito quanto nell'aprirlo, si
manifesta una corrente istantanea particolare, che
non ha nulla a che fare con la corrente costante
promossa dalla pila. Queste correnti si chiamano
extra correnti di apertura e di chiusura, offrono pro-
prietà caratteristiche, possono essere separate dalla
corrente principale ed essere utilizzate, e si manife-
stano specialmente alla rottura di un circuito,' con
una scintilla notevole.
Siccome a noi preme solo di veriflcare l'irrego-
larità della forma di questo genere di scariche, per
non entrare in tanti dettagli, abbiamo pensato di
riprodurre qui la configurazione di una di queste
extracorrenti (fìg. 7"). Basta porre a raffronto la figura
ora citata con la figura 2", che esprime un'oscilla-
—l5-
zione regolare, per persuaderci che qui ci troviamo
dinanzi ad un genere diverso di fenomeni.
Ci si potrebbe obbiettare che in pratica questa
distinzione non è così netta come l'abbiamo posta,
inquantochè le onde oscillatorie smorzate non se-
guono un andamento vibratorio netto come mostra
la figura 2". Ciò è giusto, ma non infirma che questa
distinzione si possa fare.
Invero noi abbiamo rilevato che le vibrazioni
elettriche si effettuano come quelle della luce, e le
esperienze di Hertz prima e del Righi poi, hanno
dimostrato in modo esau-
riente che i raggi di forza
elettrica si riflettono e si
frangono, si convergono e
divergono e così via
come i raggi luminosi.
Ma siccome non tutte
le scariche elettriche sono
efficaci a riprodurre i fe-
nomeni analoghi a quelli che si manifestano coi
raggi luminosi, così non è anormale di voler tener
separate queste scariche da quelle colle quali il pa-
rallelismo coi fenomeni ottici non esiste.
Per il differente modo di manifestazione delle
perturbazioni elettriche noi siamo dunque costretti
per chiarezza di linguaggio a distinguerle in due
categorie: noi chiameremo scarica elettrica, onda o
perturbazione elettrica, il risultato di un movimento
elettrico, qualunque sia questo movimento; quando
vorremo indicare quelle onde elettriche che si propa-
gano come le luminose, allora le chiameremo onde
hertziane.
*
* *
Veniamo ora a parlare del sistema telegrafico
Marconi. Per spiegarlo procederemo con due metodi
diversi: prima descriveremo le sole parti principali co-
stituenti gli apparécchi, e faremo vedere il congegno
della trasmissione ; poi — supponendo di non cono-
scere affatto il nuovo sistema — indagheremo, partendo
dai mezzi conosciuti di trasmissioni senza fili a pic-
cola distanza, le condizioni che dovrebbero essere
soddisfatte per raggiungere distanze dai nostri sensi
reputate grandi. Procedendo con questo secondo me-
todo — metodo sintetico — arriveremo a trovare
che gli apparecchi rudimentali presi in esame do-
vrebbero modificarsi, perfezionarsi, accrescersi nelle
loro parti, in tal guisa da risultare un apparato che
poi è, come vedremo, l'apparato Marconi. Questo
secondo modo di studiare la quistione non ci per-
metterà — intendiamoci bene — di dare la teoria
del funzionamento degli apparecchi, (*) ma ci porrà
in grado di spiegare come il fenomeno avviene, in
qual modo la trasmissione si compie.
Intanto incominciamo dal descrivere l'apparato
Marconi.
Un sistema telegrafico qualunque può scindersi
in tre parti principali: il trasmettitore, la linea, il
ricevitore.
La linea è la parte più costosa e più ribelle di
un sistema telegrafico, quand'essa è composta di
(*) Nel fascicolo di agosto 1897 dell' Elettricista comparirà un
articolo sulla teoria degli apparati Marconi.
17
conduttori, d'isolatori, di ferri, dì pali o di cavi. Nel
sistema Marconi la linea c'è, ma è la più comoda
che si possa immaginare, perché è composta di quel
corpo elastico, imponderabile, invisibile, che abbiamo
chiamato etere.
Possiamo dunque non occuparcene.
Ci resta dunque ad esaminare il trasmettitore ed
il ricevitore.
Il trasmettitore Marconi si compone principal-
mente :
di un ordinario rocchetto di Ruhmkorff, munito
del suo condensatore;
di una piccola batteria di 4 o 5 elementi di ac-
cumulatori;
di un oscillatore Righi;
di un'asta metallica;
di un interruttore.
E noto a tutti come è composto un rocchetto di
Ruhmkorff: sono due avvolgimenti di filo di rame
isolato o sovrapposti l'uno all'altro, comprendenti
nel loro interno un fascio di fili di ferro. Ad ogni
modo abbiamo riprodotto qui nella figura 8" un tale
rocchetto per richiamarlo alla mente di chi lo avesse
dimenticato.
Ordinariamente quando in un avvolgimento di un
rocchetto di Ruhmkorff— circuito primario — si lancia
una corrente elettrica (per es. quella provocata dalla
pila P), scocca fra le sferette situate agli estremi
dell'altro avvolgimento del rocchetto — circuito se-
condario — una scintilla più o meno lunga a seconda
della potenzialità del rocchetto: avviene una sola
scarica se la corrente si lancia per un istante, si
ottiene una successione di scariche se nel. circuito
— 18 —
primario si produce una serie d'invii di corrente;
ciò che può farsi a mano o per mezzo del martel-
letto applicato al rocchetto.
Fra le due sferette R R del rocchetto, il Marconi
ha interposto un oscillatore del Righi. Noi abbiamo
già visto in che consiste un oscillatore, ed abbiamo
anzi osservato la figura di un tipo di oscillatore
(fìg. 5"). Questo del Righi si compone di due sfere
metalliche di 12 a 14 centimetri di diametro, tenute
fra loro distanti di un millimetro ed immerse nel-
l'olio di vasellina, affine di tenere sempre pulite le
superfìcie scaricanti. In allora tutte le volte che chiu-
dendo il tasto I (fig. 88”), si manifesta un passaggio
di corrente sul circuito primario del rocchetto, le
piccole sfere E Est scaricano contro le sfere dell'oscil-
latore Righi, le quali, a loro volta si scaricano fra
di loro.
Un oscillatore Righi si vede nella fìg. 9” ove
A e B sono le sfere metalliche incastrate in due
— 19 —
dischi isolanti, in uno dei quali una sfera può, av-
vitandosi, essere avvicinata all'altra.
La scintilla violacea brillante che avviene nel-
l'oscillatore non è una scintilla unica, ma, come
gìà sappiamo, è la risultante di un numero gran-
dissimo di oscillazioni. Non occorrerà ricordare che
sir W. Thomson dimostrò col calcolo che, soddisfatte
certe condizioni del circuito nel quale avviene la sca-
rica, questa scarica deve essere oscillante; in altri
termini, quella che noi ad occhio reputiamo per una
scarica unica, è invece una serie di scariche susse-
guentisi con immensa celerità.
Al trasmettitore Marconi è unito — come ab-
biamo detto — un'antenna metallica od un filo me-
tallico verticale. Vedremo in seguito l'importanza
di quest'organo del trasmettitore.
Il ricevitore del sistema telegrafico Marconi è
composto delle seguenti parti:
due batterie di pile a secco;
un relais;
un elettromotore;
un apparato Morse;
— 20 —
un tubetto sensibile {coherer) ;
alcune resistenze di fili metallici;
ed un'antenna o filo conduttore verticale, eguale
a quello che si trova nel trasmettitore.
Richiamerò brevemente quale è l’ufficio del relais
in generale, per comprendere poi subito quale è l’ uf-
ficio che ha nel ricevitore. Un relais è composto
di una elettrocalamita a ferro di cavallo (fìg. 10) e
di un'ancoretta di ferro a mobile attorno ad un perno.
Questa ancoretta riposa in vicinanza dei nuclei del-
l'elettrocalamita: quando però si lancia pei capi AB
una corrente elettrica, i nuclei si magnetizzano e
l'ancoretta viene sollevata ed attratta.
In questo sollevamento essa può andare a col-
pire una punta — come quella che è in figura —
a chiudere cioè il circuito di una pila P per dar
luogo a movimenti di maggiore importanza, come
lanciare un segnale o far muovere una macchina,
come abbiamo segnato in figura.
Essenziale e nuova è l'applicazione al ricevitore
del tubetto sensibile {coherer) ideato dal Branly, in
21
Francia, fino dal 1890, e, come vedremo, radical-
mente modificato dal Marconi con fine discernimento.
Questo tubetto si compone — nella sua forma ru-
dimentale — di un piccolo tubo di vetro contenente
della limatura di ferro, o di alluminio, o di bronzo,
chiuso alle estremità da due tappi attraverso i quali
passano due fili di rame che stanno in contatto con
la polvere metallica contenuta nel tubetto stesso
come mostra la figura 11".
Tubi così formati presentano una singolare pro-
prietà: essi oppongono in condizioni normali una
resistenza così grande al passaggio della corrente,
che intercalati nel circuito elet-
trico di una pila P e di un
galvanometro G, impedisco-
alla corrente della pila
di propagarsi, impediscono
all'ago del galvanometro di muoversi (figura 12”).
La resistenza elettrica di questi tubetti è però pro-
fondamente modificata appena si espongano all'azione
di un'onda elettrica. Le particene metalliche disse-
minate nel tubo si assestano, avviene fra loro un
contatto più intimo, ed allora il passaggio della
corrente avviene, e persiste fino a che la limatura
metallica resta nelle stesse condizioni.
Basta dare un leggero colpo al tubetto, in modo
che le particelle metalliche ritornino alla loro po-
— 22 —
sizione disordinata, che la resistenza si fa di nuovo
grandissima e la corrente della pila si riduce in
conseguenza ad essere trascurabile.
Si comprende che una nuova onda elettrica met-
terebbe il tubetto in condizioni da far rilevare di
nuovo la presenza della corrente e che un nuovo
colpo sarebbe capace di riportare il tubo nelle con-
dizioni iniziali.
Vediamo ora un po' più da vicino come possano
disporsi le cose in modo che per ogni onda che col-
pisce il coherer corrisponda una segnalazione mate-
riale eseguita, p. es., da un apparato telegrafico Morse.
Supponiamo perciò di aver formato un circuito
(fig. 13") nel quale si trova il coherer R, avente la
forma adoprata dal Marconi e descritta nel seguito
di questo lavoro, una pila P ed un relais R, colla
sua piccola armatura a.
Grazie alla proprietà indicata del tubetto sen-
sibile, per quanto il predetto circuito sia totalmente
chiuso, vale a dire non ci sia alcuna interruzione,
nondimeno la pila non darà sensibile corrente elettrica.
Se per un momento si togliesse il tubo, e lo si
sostituisse con un filo metallico, la pila promove-
rebbe una corrente elettrica entro il circuito, fino
al suo esaurimento. Ma quando il tubetto è inter-
calato, ed un'onda elettrica arriva a colpirlo, esso
funziona come se fosse un filo metallico; la pila
agisce, l'elettrocalamita attira l'ancoretta che, solle-
vandosi, va a stabilire un contatto nel punto m, ot-
tenuto il quale, sono altre pile P che agiscono in un
secondo circuito, sopra un apparato telegrafico Morse.
Durante tutto il tempo che il contatto in m si
mantiene, l'apparato Morse emette un segnale.
Oltre questo secondo circuito, fa parte del rice-
vitore un terzo circuito che viene alimentato dalle
stesse pile P e contiene un piccolo elettromotore,
incaricato di battere sul tubetto un leggero colpo
per ogni onda ricevuta.
Il filo conduttore verticale è unito ad uno degli
estremi del tubetto sensibile, mentre l'altro estremo
è connesso con un nastro metallico funzionante come
capacità elettrica.
Tranne poche particolarità che tralascio espres-
samente per non ingenerare confusione, il ricevitore
Marconi è quello che abbiamo ora descritto.
Possiamo ora vedere come praticamente si effettua
la trasmissione:
Funzionamento del trasmettitore: si abbassa il
tasto o l'interruttore del circuito che alimenta il
rocchetto di Ruhmkorff per un istante; la corrente
degli accumulatori traversa allora il circuito primario
del rocchetto; le sferette del circuito secondario si
scaricano contro le sfere dell'oscillatore, fra le quali
viene a scoccare una scintilla. Questa scintilla, che
24
si compone di milioni di scintille, comunica all'etere
il suo moto oscillatorio, e l'etere, che è impressio-
nato da tutti quegli innumerevoli impulsi, si mette
a vibrare e li comunica ai corpi lontani.
Il filo metallico verticale è in contatto con sistema
oscillante, per cui anche su di esso avvengono gli
spostamenti oscillanti delle masse elettriche. Anche
questo conduttore comunica dunque all'etere i moti
vibratori.
Ogni volta che si abbassa l'interruttore si ripete
questo fatto; se l'interruttore si tiene costantemente
abbassato, sarà un continuo succederai di questo
scambio di impulsi tra le masse elettriche e l'etere
circostante.
Funzionamento del ricevitore : per ogni onda elet-
trica che arriva, l'asta metallica e le altre parti me-
talliche dell'apparato diventano sede di azioni elettri-
che; il tubetto resta impressionato ; la pila P (fig. 13”).
da corrente; il relais chiude il secondo circuito; la
macchina Morse emette un segnale, mentre il martel-
letto comandato dall'elettromotore colpisce il coherer
e lo rende preparato a svelare un altro segnale.
Risulta dunque chiaro come, procurandosi da una
parte oscillazioni elettriche, ed avendosi dall'altra
un adatto circuito con inserito un tubo sensibile
(coherer), si possa per ogni emissione di onda elet-
trica ottenere un segnale ; si possa, in altri termini,
inviare dei messaggi.
*
* *
Sebbene la fatta descrizione degli apparati Mar-
coni ci abbia messo in grado di vedere come prati-
camente essi funzionano, nondimeno il procedimento
— 25 --
descrittivo seguito non ci ha per nulla illuminati
sulla ragione dell'adozione di certi organi che del
sistema sono parte così necessaria ed importante.
Invero noi non sappiamo:
1° perché nei due apparati si dispongono due
conduttori verticali;
2° perché si usa nel trasmettitore un oscilla-
tore elettrico hertziano;
3° perché negli apparati si dispongono delle
capacità elettriche;
4° perché si adopera un coherer, piuttosto che
un altro apparecchio, e così via.
E che sia necessario di rispondere, fìn dove si
può, alle precedenti dimando, lo prova il fatto che,
mentre v'è chi ha ritenuto doversi attribuire il fe-
nomeno esclusivamente all'azione delle scariche oscil-
lanti, vi è chi ritiene — come il professore Pasqualini
lo ha sostenuto per primo — che l'influenza sul tubo
di Branly sia dovuta all'azione esercitata dall'antenna
e che perciò l'oscillatore non sia che un mezzo qua-
lunque per ottenere nell'antenna stessa delle innu-
merevoli correnti di brevissima durata.
A questo punto della quistione noi siamo di av-
viso, che se anche in modo approssimativo vuolsi
indagare fino dove interviene l'azione della scarica
oscillatoria nella manifestazione del. fenomeno, se
vuolsi investigare l'azione dell’ antenna del trasmet-
titore e del ricevitore, e la necessità di introdurre
negli apparati delle capacità elettriche e così via,
in allora bisogna partire da altre considerazioni,
bisogna procedere in modo diverso.
Teniamo perciò sempre presenti le considerazioni
generali che abbiamo fatte sulla propagazione delle
— 26 —
onde elettriche, ricordiamoci degli organi dell'appa-
rato Marconi e trattiamo il problema della trasmis-
sione a distanze in modo sintetico, in un modo cioè
che si presta meglio a rendere conto della funzione
di questo nuovo sistema.
Nel seguire questo procedimento io mi varrò
anche di alcuni ragionamenti, che il prof. Pasqua-
lini ebbe a svolgere al Ministero della Marina, in
una breve illustrazione degli apparecchi Marconi.
* *
Si abbia un circuito elettrico semplicemente co-
stituito da una pila e da un conduttore metallico A
(fìg. 14”).
Se in vicinanza di quel conduttore abbiamo un .
secondo conduttore B, ad ogni chiusura ed aper-
tura del primo conduttore una corrente istantanea,
indotta, si sviluppa anche nel secondo conduttore,
che può essere rivelata da un galvanometro G.
Ecco dunque a nostra disposizione un mezzo ele-
mentare per trasmettere dal punto A al punto B dei
segnali senza la necessità di fili di comunicazione.
— 27--
È questo in essenza il principio fondamentale del
sistema Marconi; ma con un apparecchio così sem-
plice molte sono le cause che impediscono di rag-
giungere una distanza un po' grande.
Anzi tutto la corrente in una metà del condut-
tore A, ha, rispetto a B, senso contrario che nel-
l'altra metà. Finché B non è molto lontano da A
la metà C, perché più vicina, agirà maggiormente e
i segnali potranno essere trasmessi; ma se la di-
stanza fra A e B è così grande che quella fra D e C
sia piccola al confronto, le due metà agiscono su B
in modo eguale e contrario, e quindi nessun segnala
può essere trasmesso.
Fu precisamente per questa ragione che lo Ste-
venson, nei suoi esperimenti di telegrafia con cor-
renti indotte, da noi citati in principio, era costretto
a servirsi di rocchetti aventi 180 metri di diametro
per vincere una distanza di soli 800 metri.
Una delle due metà del conduttore A dev'essere
dunque eliminata, e lo si può fare nel modo seguente :
II conduttore rettilineo A finisca nella parte supe-
riore con un disco metallico o condensatore L e colla
parte inferiore sia messo in comunicazione alterna-
tivamente o col polo di una pila o con un filo che
va a terra (fig. 15"). Nel primo caso una corrente si
stabilisce dal basso all'alto, nel secondo dall'alto al
basso.
Avremo così un'oscillazione di corrente in A che
darà su B gli stessi effetti che avevamo chiudendo
o aprendo il circuito prima considerato, avendo pure
eliminata la metà nociva del conduttore che c'im-
pediva di aumentare la distanza fra le due stazioni.
Malgrado ciò, con mezzi ordinar!, non si potreb-
.
bero superare pochi metri di distanza per ricevere
alla stazione B degli effetti percettibili.
Possiamo però osservare che l'azione delle cor-
renti che circolano in A, è tanto più energica su. B,
quanto più rapide sono le variazioni della corrente
stessa. Se invece di aver, per esempio,
una vibrazione al minuto secondo ne
abbiamo due, è raddoppiata l'azione
di A su B; se ne abbiamo quattro, è
quadruplicata, e così via. Noi potremmo
con opportuni mezzi ottenere qualche
diecina e forse qualche centinaio di
oscillazioni in un minuto secondo, ma
questo sarebbe ben poca cosa per noi
che vogliamo raggiungere grandi di-
stanze. Noi dobbiamo cercare di otte-
nere oscillazioni per es. del periodo di
un milionesimo al minuto secondo;
allora l'azione di A su B sarà milioni
di volte maggiore e quindi potremo spe-
rare di raggiungere quelle distanze che
sensi valutiamo come grandi.
Dopo quanto abbiamo antecedente-
mente imparato a conoscere, un mezzo semplice e
comodo per ottenere correnti! di tal natura ci è
offerto da un oscillatore hertziano il quale, come
sappiamo, è capace di sviluppare delle vibrazioni,
in ragione di milioni e milioni al secondo. All'atto
pratico potrà essere prescelto l'oscillatore del Righi ad
un altro qualunque, ma ciò sarà un perfezionamento
di dettaglio, che non modifica affatto il principio.
Possiamo dunque concludere : perché un trasmetti-
tore elettromagnetico di segnali da comunicarsi a
— 29 —
distanza presenti i caratteri essenziali per un effi-
cace funzionamento, bisogna che il circuito trasmit-
tente si riduca a forma lineare, ad un filo verticale,
ad un'antenna come si è detto, e bisogna che in.
questo filo abbiano sede innumerevoli correnti di du-
rata infinitamente piccola,
Ricordiamoci ora della descrizione fatta del tras-
mettitore Marconi e vedremo che esso soddisfa ap-
punto alle due condizioni fondamentali, che siamo
riusciti ad appurare col semplice-ragionamento.
Ripetiamolo ancora una volta: il trasmettitore
Marconi, perché possa lanciare impulsi, che, tra-
sportati dall'etere, delibano raggiungere grandi di-
stanze, è mestieri che sia fornito di un condut-
tore verticale e di un generatore di correnti di
durata infinitamente piccola, e l'uno e l'altro il
trasmettitore Marconi contiene. Siamo riusciti dun-
que ad investigare col ragionamento la necessità che
v'è dell'antenna nell'apparato trasmettitore, quell'an-
tenna che nella descrizione dell'apparato stesso ci
faceva l'effetto di un punto interrogativo, non pre-
vedendone facilmente l'efficacia, siamo riusciti ad
accertare la necessità di avere un organo atto a pro-
durre innumerevoli impulsi elettrici in tempi infini-
tamente piccoli, senza delimitare che quest'impulsi
provengano piuttosto da perturbazioni elettriche qua-
lunque che da scariche oscillatorie hertziane. Per
questa seconda condizione il ragionamento ci avrebbe
anzi generalizzato il principio dell'apparato trasmit-
tente, e l'avere prescelto un oscillatore hertziano per
produrre correnti elettriche della natura richiesta,
piuttosto che un vibratore qualunque dovrebbesi giu-
stificare dalla circostanza che l'oscillatore hertziano
~ 30 ~
è il più comodo a costruirsi, il più semplice a cal-
colarsi.
Il nostro trasmettitore rudimentale A dovrà tra-
sformarsi essenzialmente in un conduttore verticale
in un oscillatore, e in un alimentatore dell'oscillatore,
che può essere una macchina elettrostatica od un
rocchetto di Ruhmkorff'.
Ed ora che abbiamo rintracciato tutte le parti prin-
cipali costituenti il trasmettitore, ed abbiamo potuto
di quelle parti apprezzare l'importanza, vediamo come
effettivamente il Marconi ha disposto il suo apparato,
ispezionando la fig. 16” che è uno schema fedele
del trasmettitore Marconi.
— 31 —
In questa figura si osserva il rocchetto di Ruhm-
korff, nel quale può essere lanciata la corrente degli
accumulatori P, abbassando il tasto I; si osserva il
condensatore C, il quale aumenta P efficacia della
scarica e gli altri accessori. Si vede chiaro che dal
circuito secondario del rocchetto escono due con-
duttori che arrivano alle due sferette RR.
La scarica indotta del rocchetto avviene tra le
sferette R li e le sfere centrali che costituiscono
l'oscillatore.
Queste due sfere centrali sono tenute da due ga-
nasce di ebanite e mantenute a distanza fissa per
mezzo di cavicchie pure di ebanite: attorno v'è
come una bacinella di pergamena che contiene l'olio
di vasellina nel quale sono immerse le sfere.
Il tutto è sostenuto da un telaio di ebanite.
Un elettrodo è in comunicazione col filo verti-
cale A, l'altro elettrodo è in comunicazione con un
contatto a terra T.
Questo è tutto quanto il trasmettitore possiede.
Ci rimarrebbe da osservare che questa comunica-
zione a terra non dovrebbe — se il fenomeno avviene
per le ragioni esposte — avere alcuna influenza; però
il Marconi è di avviso che con questo contatto è
aumentata di molto l'efficacia della trasmissione.
In quei pochi esperimenti che sono stati eseguiti
a Roma, fu tolta la comunicazione a terra, e l'ap-
parecchio seguitò ad agire perfettamente; ma su
tale questione non è detta l'ultima parola, ed è me-
stieri attendere i risultati di esperienze più accurate
ed eseguite in scala più larga.
Per investigare quale debba essere l'apparecchio
ricevitore adatto al trasmettitore che abbiamo stu-
- 32 —
diato bisognerà procedere nel modo sintetico seguito,
e partire dalla citata fig. 14".
In questa figura il ricevitore rudimentale è co-
stituito dal circuito B nel quale si trova un galvano-
metro G, per rilevare le azioni delle correnti che
arrivano a quel circuito.
Un galvanometro è infatti un istrumento sen-
sibile che si adopra in quasi tutte le ricerche della
fìsica, ma che richiede un'azione elettrica apprez-
zabile per imprimere all'ago un'orientazione diversa
da quella magnetica che possiede.
I galvanometri dell'uso comune misurano le cor-
renti di generatori posti nel loro circuito, o di
correnti indotte da altri circuiti a loro molto vicini.
Invece i galvanometri molto sensibili sono capaci
di apprezzare i movimenti di masse di ferro odi campi
elettrici anche lontani, purché queste masse di ferro
o questi campi elettrici abbiano una rilevante gran-
dezza; per esempio, essi accusano un treno che si
avvicina, accusano il passaggio di un tram elettrico;
ma un treno od un tram elettrico rappresentano
qualche cosa di troppo grossolano per un trasmet-
titore. Ed al postutto, a quale distanza queste in-
fluenze si esercitano? Se dobbiamo considerare che
una trasmissione a distanza include il concetto di
distanza di molti chilometri, dovremo concludere che
le perturbazioni hanno influenza sul galvanometro
per distanze relativamente brevi, poiché se è vero
che i galvanometri sensibili dell'Istituto fisico, a
parte l'influenza magnetica, risentono l'influenza
delle correnti indotte nel filo, provocate dallo spo-
stamento dei tram elettrici che circolano per la città,
non sono certo influenzati i galvanometri dell'Os-
— 33 —
servatorio di Rocca di Papa, per le stesse ragioni
dovute ai movimenti di masse elettriche che avven-
gono in Roma. Non sarà dunque un galvanometro
solo, F istrumento più indicato per ricevere le segna-
lazioni lontane, perchè l'energia occorrente per pro-
muovere il movimento dell'ago del galvanometro,
a parte ogni altra considerazione, dovrebbe essere
eccessivamente grande, e quando anche fosse tale,
non sarebbe mai sufficiente ad essere rivelata ad una
grande distanza. Il galvanometro dunque, come ap-
parecchio direttamente ricevente, deve essere scar-
tato di far parte del ricevitore che andiamo inve-
stigando.
Ma non è la sola condizione di estrema sensibi-
lità quella che deve presentare un ricevitore, perché
più efficacemente risponda alle onde elettriche pro-
venienti di lontano: la forma dei conduttori deve
essere tale, che se il ricevitore si adoperasse come
trasmettitore, si dovrebbe comportare alla scarica
con un periodo di oscillazione eguale a quello del
trasmettitore usato.
Anzi diremo di più, che se il periodo di oscil-
lazione che il ricevitore è capace di dare è molto
differente da quello del trasmettitore, il primo resta
sordo all'influenza di quest'ultimo.
In questo fatto non vi è nulla che possa mera-
vigliare, avendoci un' infinità di riscontri in natura.
Il più comune e il più noto è quello del suono. Chi
non sa che facendo vibrare un diapason in una
stanza in cui si trova un pianoforte, risponda quella
corda, e solo quella corda che, pizzicata, è capace
di dare la stessa nota del diapason? È noto che il
diapason nel vibrare imprime delle pulsazioni al-
— 34 —
l'aria circostante, e ne imprime un numero diverso
secondo le onde che esso è capace di dare; queste
vibrazioni, investendo le corde del piano o qualunque
altro corpo atto a vibrare all'unisono col diapason,
lo obbligano a vibrare e ad emettere un suono per
conto suo.
Identico è il fenomeno elettrico. Noi già sappiamo
che l'azione si propaga dal trasmettitore al ricevitore
attraverso all'etere, e quando noi provochiamo nel
trasmettitore una corrente oscillante, questa imprime
all'etere una serie di impulsi che come onde si pro-
pagano in tutto lo spazio. Se queste onde incontrano
ed investono un conduttore accordato con quello che
le ha emesse, lo fanno diventar sede di un concerto
oscillante, lo fanno rispondere alle pulsazioni emesse,
in caso contrario il ricevitore rimane sordo al lin-
guaggio che riceve.
Dobbiamo, dunque, impiegare, se vogliamo poter
raggiungere delle distanze ragguardevoli, un con-
duttore ricevitore accordato col trasmettitore.
Se, dunque, all'apparecchio trasmettitore appli-
cammo un filo conduttore verticale, dovremo appli-
care questo filo o quest'antenna anche al ricevitore;
se un elettrodo del trasmettitore fu posto in comu-
nicazione colla terra dovremo porre in comunicazione
colla terra anche uno dei capi del ricevitore, poiché
le parti del trasmettitore hanno una determinata ca-
pacità elettrica, questa capacità elettrica deve averla
anche il ricevitore.
Da queste conclusioni noi possiamo dedurre che
anche il circuito B della fig. 14” devesi sdoppiare,
che va tolto il galvanometro per sostituirlo con altro
apparecchio, che devesi fare una comunicazione col
— 35 —
suolo e che bisogna aggiungere delle capacità o
superfìcie metalliche per porre l'insieme dell'ap-
parecchio ricevente all'unisono con quello trasmit-
tente.
Un ricevitore a questo modo potrebbe benissimo
rispondere al linguaggio del suo trasmettitore, ma
questo linguaggio rimarrebbe completamente a noi
inosservato, perché manca all'apparecchio stesso
l'organo che rende manifesto ai nostri sensi la con-
versazione che si tiene. Molto a proposito servono
per questo scopo i tubetti Branly.
Il tubetto Branly non è però Porgano che sosti-
tuisce il galvanometro nel circuito B della figura 11'',
poiché il tubetto sensibile da solo sarebbe incapace di
fornire la benché minima indicazione. Il tubetto si
può riunire invece nel circuito di una pila potente
quanto si vuole e di un relais, in modo che per
ogni onda comunicata al tubetto, la pila, fornendo
tanta corrente quanta se ne ha bisogno, renda ma-
nifesta al relais l'impressione dal tubetto ricevuta
nel modo più vistoso. Al galvanometro abbiamo
dunque sostituito un circuito con un sistema di ap-
parecchi con risultato infinitamente migliore, in-
quantochè, mentre nel ricevitore B l'energia tras-
messa avrebbe dovuto direttamente agire sul gal-
vanometro o su un qualunque altro apparecchio di
segnalazione, nel ricevitore ora combinato basta che
l'onda o la perturbazione elettrica investa il tubetto,
perché allora la corrente della pila imprima mo-
vimento al relais e, volendo, anche ad una macchina
di grande potenza.
Avendo proceduto con metodo sintetico siamo
venuti a stabilire che il ricevitore deve contenere:
— 36 —
un'asta metallica verticale ;
delle superficie metalliche presentanti
capacità ;
una comunicazione al suolo ;
un circuito nel quale si trovi un tu-
betto sensibile per ricevere le impressioni;
una pila per fornire corrente ad un.
relais che deve riprodurre ingranditi dei se-
gnali.
Siamo venuti cioè a ricostruire il ricevitore Mar-
coni, veduto in schema nella fìg. 17”.
Esaminando invero la fìg, 17” vi ritroviamo l'asta
metallica verticale A, un nastro metallico costituente
una capacità C, una comunicazione col suolo T,
ed un circuito formato da una pila P, delle resi-
stenze L ed L’ ed il coherer B e il relais R. In questa
figura si vede per di più che quando il relais R at-
tiva la propria ancora, questa chiude un circuito
— 37 —
nel quale si trova una batteria di pile Pi, ed un
apparato telegrafico Morse. La pila Pi, agisce per ogni
chiusura di circuito, anche su un altro circuito del
quale fa parte il piccolo elettromotore J, situato
vicinissimo al coherer.
L'ancora di questo piccolo ricevitore, terminata
a martelletto, va a battere leggermente, per ogni
attrazione che riceve, sul coherer, il quale viene ad
essere posto in condizioni di ricevere una successiva
impressione.
Per ogni onda emessa dal trasmettitore si ha
dunque un segnale istantaneo all'apparato Morse,
vale a dire un punto. Per una successione di onde.
grazie all'inerzia dell'apparato, invece di ottenere
una serie di punti si ha una linea ; quindi noi pos-
siamo avere punti e linee, possiamo corrispondere
cioè col linguaggio telegrafico Morse.
Consideriamo ora anche qualche dettaglio del
ricevitore Marconi.
Le due spiraline di filo metallico, L ed L’ sono
due resistenze autoinduttive, le quali hanno l'ufficio
d'impedire che le onde elettriche passino al difuori
del tubetto.
La modificazione fatta dal Marconi al tubetto
sensibile del Branly è di una importanza eccezio-
nale; da un ordinario tubetto contenente semplice
polvere metallica in disordine, è divenuto un organo
minuto, delicato, di fìna meccanica elettrica. Il Mar-
coni mi disse che egli aveva impiegato qualche anno
di tentativi per riuscire a costruirne uno sensibile
come il suo. È formato da un tubetto di vetro lungo
4 centimetri e del diametro di circa 5 mm. che con-
tiene due cilindretti di argento situati alla distanza
38
di un millimetro. Fra le due basi affacciate dei due
cilindretti si trova della; limatura di nichel in ra-
gione del 96 % e della limatura di argento in ragione
del 4%. Nel tubo è stato spinto il vuoto alla pres-
sione di 1 millimetro, e vi sono state lasciate tracce
di vapori di mercurio.
L'aletta metallica O connessa con la terra, ha
tali dimensioni da rendere accordato il ricevitore
alle azioni trasmesse.
Infine ci rimane a fare un'ultima osservazione
su alcune resistenze elevate che si trovano ne] ri-
cevitore Marconi e che, per non complicare la figura
abbiamo tralasciato di rappresentare. Queste resi-
stenze elettriche sono formate o da fili sottilissimi
di argentana, o da tubetti di acqua, e sono poste in
derivazione sui due capi dei punti ove il circuito
si deve chiudere o rompere.
Abbiamo già detto che rompendosi e chiudendosi
un circuito elettrico, si occasiona una extracorrente ;
questa potrebbe avere azione disturbatrice sul ri-
cevitore. Siccome ad ogni onda che arriva si mettono
in moto diversi organi, e avvengono varie chiusure
ed aperture di circuiti, bisognava procurare di to-
gliere tutti i possibili dannosi effetti che le extracor-
renti avessero potuto avere. L'inserzione di queste
resistenze per evitare le perturbazioni elettriche no-
cive è stata un'idea molto efficace e molto ingegnosa.
*
* *
Descritto l'apparato Marconi e spiegato il suo
modo di funzionare, vien fatto di proporsi alcuni
quesiti riguardanti l'applicazione che questo appa-
— 39 —
rato potrà ottenere e le leggi fisiche che governano
la trasmissione con questo sistema.
Noi risponderemo ad alcuni quesiti più impor-
tanti, tacendo di molti altri che la fantasia po-
trebbe proporre.
Una domanda che sorge spontanea, forse prima
di ogni altra, si è quella di conoscere se la trasmis-
sione col sistema Marconi può essere impedita da
ostacoli che possono frapporsi tra il trasmettitore
ed il ricevitore. Si può osservare che l'emissione
delle onde elettriche dall'apparecchio trasmittente è
fatta in tutti i sensi dello spazio, nella stessa guisa
che da un punto luminoso partono i raggi in tutte
le direzioni. Come accade di vedere in una stanza
senza che i raggi del sole vi penetrino direttamente,
perché la luce diffusa, riflessa, rifratta se si vuole
è sufficiente a darci P immagine degli oggetti, così
i raggi di forza elettrica diffusi e riflessi potranno
essere sufficienti ad impressionare il tubetto sensibile
del ricevitore, ed inoltre nello stesso modo che molti
corpi sono trasparenti per i raggi luminosi, così
ce ne sono moltissimi trasparenti anche per le onde
elettriche. La difficoltà si accresce quando gli ostacoli
sieno corpi metallici.
È evidente che un conduttore metallico rice-
vendo un'onda elettrica, per la sua proprietà intrin-
seca di essere un conduttore dell'elettricità, si met-
terà a vibrare, risponderà, male o bene che sia, al
trasmettitore, per cui l'energia dell'onda rimarrà
spesa a produrre questa vibrazione. È certo però
che è difficile trovare ostacoli di conduttori così
grandi da assorbire l'energia di tutti i raggi di
forza elettrica che sono emessi, come abbiam detto,
— 40 —
in tutte le direzioni. Invero sono stati eseguiti de-
gli esperimenti avendo il ricevitore entro una nave
corazzata, e l'apparecchio ha risposto, perché i raggi
elettrici sono penetrati fin là dentro come ci arri-
vavano i raggi luminosi.
Però questa interpretazione del fenomeno non
sarà rigorosa quando si pensi al modo come suole
il Marconi eseguire le esperienze sulle navi. Per
riferirsi ad un esempio recente, ricorderò che in
questi giorni - alla Spezia - venivano emesse
delle segnalazioni tra l'arsenale di San Bartolomeo e
la corazzata San Martino completamente armata in
alto mare, trovandosi il ricevitore posto su coperta
nelle cabine, alle caldaie, sotto ai cannoni e nei più
remoti nascondigli della corazzata stessa. Ma una
parte essenziale del ricevitore rimaneva sempre al-
l'aperto, e cioè l'antenna metallica che mentre saliva
di molti e molti metri, manteneva la sua comunica-
zione col ricevitore per mezzo di un conduttore me-
tallico. Ne segue che potrebbe essere fatto a meno
di ricorrere ai fenomeni di riflessione e diffusione
delle onde elettriche che arrivano fino ai bassi fondi
delle navi per eccitare il coherer e dire semplicemente
che l'azione induttiva dell'antenna metallica è quella
che determina la frazione dei segnali trasmessi.
Avendosi piuttosto diversi apparecchi in funzione
bisognerebbe sapere fino a qual punto un sistema
di apparecchi può disturbare la corrispondenza del-
l'altro sistema, e se potrebbesi carpire la corrispon-
denza ponendo in funzione un secondo ricevitore
anche diverso dal primo.
Per quanto l'ultima parola sarà detta dall'espe-
rienza, si può prevedere fin d'ora che non deve es-
41 —
sere molto facile a sorprendersi una corrispondenza
se non si possiede un ricevitore accordato col tra-
smettitore. Ora questo accordo è meno facile di
quello che si crede; basta variare di poco le condi-
zioni dell'istrumento perché la corrispondenza di-
venga così stentata da non ricavarne alcun co-
strutto.
Del resto è sempre possibile la corrispondenza
in linguaggio convenuto o in cifre.
Importante a conoscersi è la distanza che si
può superare con questo sistema telegrafico.
Come abbiamo detto, nella trasmissione fatta at-
traverso il canale di Bristoi si sono intanto rag-
giunti i 15 chilometri, ed ora sono 'preparati gli
esperimenti per provare ad una distanza di 60 chi-
lometri. Nei recenti esperimenti eseguiti alla Spezia
sono stati raggiunti 18 chilometri, adoprando gli
stessi apparecchi che erano stati adoprati a Roma
ed avendo poste le aste metalliche alte 25 metri.
Si sono cioè sorpassati i risultati ottenuti in In-
ghilterra, sebbene il rocchetto adoprato come tras-
mettitore fosse molto meno potente. Ma all'infuori
di questi risultati esperimentali, non si può ancora
prevedere niente di preciso.
L'avere introdotto il Marconi nei suoi apparec-
chi il conduttore metallico verticale è stata la causa
indispensabile per trasmettere a distanza; ma in
quale misura influisca l'altezza del conduttore sulla
distanza da vincersi non è facile a dirsi.
A Roma negli esperimenti eseguiti (*) da un piano
(*) Questi esperimenti furono eseguiti per iniziativa del Ministero
della Marina,
— 42 --
all'altro, il conduttore aveva un' altezza di 3 metri
circa ; per la trasmissione attraverso il canale di Bri-
stoi a 15 chilometri, questo conduttore raggiungeva
l'altezza di circa 30 metri; è difficile prevedere quale
dovrà essere quest'altezza per una distanza doppia.
Solo uno studio sistematicamente eseguito potrà
illuminarci a questo riguardo; inquantochè la qui-
stione è molto complessa.
Si può invero osservare : questo conduttore ver-
ticale basta che sia sviluppato molto in altezza, op-
pure deve avere, per i migliori effetti, una grande
capacità ?
Le onde emanate dal trasmettitore devono es-
sere necessariamente onde hertziane oppure perturba-
zioni qualunque di elettricità?
E la frequenza di queste onde in qual modo in-
fluisce sulla distanza?
Noi abbiamo insistito molto per rendere chiara
la distinzione fra le onde hertziane e le incomposte
perturbazioni elettriche, perché il problema non am-
mette su questo punto alcun indugio ad essere ri-
soluto.
I moti vibratori dell'etere comunicati da. scari-
che oscillatorie, al pari dei raggi luminosi possono
essere deviati, riflessi, rifratti, resi convergenti, e così
via, e per tali ragioni si spiega come il Marconi
saltuariamente avesse adoperati anche degli specchi
per raggiungere maggiori distanze, ma se questi
moti vibratori non sono necessari per ottenere il
fenomeno di trasmissione, allora l'ordine d'idee cam-
bia di molto.
Invero quando sarà provata la necessità di ado-
prare dei moti vibratori hertziani allora si potrà
— 43 —
seguitare a parlare di convergere i raggi di forza
elettrica, a parlare di riflessione e diffusione, a par-
lare di risonanza e così via, ma quando questi non
siano necessari non sarà più permesso di spiegare
i diversi fenomeni con proprietà che le scariche elet-
triche non hertziane non hanno mai avuto.
L'insistenza che abbiamo messo per stabilire
certe distinzioni, ci farà seguire con chiarezza gli
studi esperimentali che certamente si inizieranno
nei laboratorì scientifici.
E la quantità di energie messa in moto non vi
deve avere influenza; deve cioè la trasmissione av-
venire per eguali distanze se in quel!' infinitesimo di
secondo in cui avviene la scarica è la forza di un
cavallo messa in giuoco, o la forza di mille cavalli?
Basta per poco riflettere a queste considerazioni,
per essere persuasi della necessità di studiare ancora
esperimentalmente il vasto problema.
Per ora quello che si può affermare si è la di-
mostrata possibilità di trasmettere a distanza con
tali mezzi che aprono un campo di nuovi studi e
nuove scoperte, rimasto finora inesplorato dalla
mente umana.
L'invenzione del Marconi avrà certo larga ap-
plicazione nella pratica, poiché fin d'ora si vedono
i benefici che essa può rendere. Pare già inconte-
stato che per la corrispondenza fra le navi, e fra
le navi e la costa, in quanto che può occorrere per
i bisogni marinareschi, corrisponda allo scopo. Io
mi auguro che questo sistema, meglio che tra le
navi da guerra, trovi applicazione per corrispondere
fra le navi mercantili, i treni — veri segnacoli di
civiltà — e le stazioni, tra gli opifici industriali,
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nelle trasmissioni di energia elettrica a distanza
tra le officine di produzione e i lontani luoghi ove
l'elettricità si risolve in luce, in calore, in forza.
A parte poi ogni pratico impiego, l'invenzione
del Marconi avendo per base, come abbiamo visto,
una delle più grandi conquiste della fìsica moderna
la trasmissione eterea dei raggi di forza elettrica,
ha avuto il merito di aver come trasportato in
piazza le scoperte fìn ora rimaste chiuse nel la-
boratorio, di aver iniziato il pubblico alla discussione
di certi fenomeni, rimasti fin ora conoscenza di
pochi scienziati.