Qui sotto illustrerò notizie che ho trovato sulla storia di ditte italiane produttrici di radio da aggiungere ad integrazione delle numerose notizie che si trovano nella sezione Locandine ecc
STORIA DI TRE AZIENDE da Carlo Recla
E'un binomio che rappresenta tuttora una pietra miliare nella storia dell'industria elettronica italiana ed è riconducibile a tre diverse Aziende milanesi che operarono, nel secolo scorso, per cinquant'anni complessivamente: la Allocchio Bacchini & C., la ABC Radiocostruzioni e la Radio Allocchio Bacchini. Va citato pure il nome Radialba, legato al marchio di alcuni apparecchi prodotti, che tuttavia non credo fosse una ditta a sé stante. Alla fine della prima guerra mondiale i due fondatori, appunto l'ingegner Allocchio e l'ingegner Bacchini, grazie alla loro precedente esperienza, decisero di produrre strumenti elettrici di misura dapprima a bobina mobile, come voltmetri ed amperometri, virando poi dall'elettrotecnica all'elettronica con la successiva produzione di strumenti sempre più sofisticati, come per esempio oscilloscopi. Già in quegli anni venne assunto, come ingegnere progettista, Arturo Recla, la cui presenza risultò costante in tutte e tre le Aziende citate. Si trova ancora in alcune biblioteche il suo libro intitolato appunto "strumenti elettrici di misura". Ma la grande novità di quegli anni era la radio e ben presto gli sforzi dell'Azienda s'indirizzarono in quella direzione. Anche il governo dittatoriale dell'epoca ben comprese come la radio potesse rappresentare un utilissimo strumento di propaganda politica, ma restava il problema dei prezzi: il popolo difficilmente poteva permettersi di acquistare tali apparecchi, perché troppo cari, e ciò valeva anche per quelli più semplici, a galena, che oltretutto si ascoltavano in cuffia rendendo difficile il coinvolgimento di tutto il nucleo famigliare. Venne quindi bandito un concorso statale per la produzione di un apparecchio radio a basso costo, concorso che coinvolse tutte le Aziende italiane del settore, e che venne vinto proprio dall'Allocchio Bacchini, con un moderno apparecchio dotato di altoparlante e che beneficiava di uno schema elettrico rivoluzionario per risparmiare almeno una delle costose valvole termoioniche che venivano a quei tempi impiegate prima dell'avvento di transistor e circuiti integrati, e, grazie a un'intuizione particolarmente felice del suo progettista, intuizione che venne brevettata, il costoso condensatore variabile che veniva utilizzato per la sintonia venne sostituito da un economico condensatore fisso, rendendo mobile per la sintonia la ferrite interna dell'induttanza di alta frequenza. Anche di tale invenzione si può tuttora trovare documentazione in un'altra pubblicazione del prof. Recla, che nel frattempo aveva già progettato apparecchi per auto. Suo uno studio comparso sulla rassegna "Radio industria" già nell'aprile del 1935 ! Ma l'Azienda era già impegnata nel campo della televisione: forse il primo prototipo in assoluto di televisore prodotto in Italia fu quello messo a punto dal progettista dell'Allocchio Bacchini ed è esposto al museo della scienza e tecnologia di Milano. La seconda guerra mondiale costrinse ad occuparsi esclusivamente di apparecchi bellici e anche la ricerca fu giocoforza indirizzata in tal senso fino a realizzare un apparecchio molto simile a quello che sarebbe stato il radar. Terminato il conflitto terminarono anche le commesse militari, l'Allocchio Bacchini si ritrovò in crisi di liquidità e dovette chiudere. Lo stabilimento di corso Sempione venne successivamente rilevato dall'Editoriale dell'ing. Sisini che già allora pubblicava La Settimana Enigmistica, uno dei pochi periodici di quell'epoca che ancora sopravvivono oltretutto senz'alcuna necessità di essere modificato. Trovatisi senza lavoro, tre dirigenti dell'Allocchio Bacchini, Raffo, Recla e Ferri (quest'ultimo tuttavia diede ben presto le dimissioni) fondarono L'"ABC Radiocostruzioni" che già col nome, dalle iniziali della Allocchio Bacchini & C, voleva essere il logico proseguimento dell'attività interrotta. Avvalendosi dell'esperienza nel campo degli apparecchi economici, venne subito progettato un nuovo apparecchio radio con un occhio attento alle prestazioni, ai massimi livelli, ma con un costo contenuto: per esempio l'altoparlante, che a quei tempi era solitamente coperto da una costosa tela speciale, venne nascosto da un semplice cartone forato che, verniciato in giallo paglierino, faceva una bellissima figura a un costo quasi irrisorio. Anche in tale nuova Azienda vennero condotti costosi studi e realizzazioni di prototipi di televisori e tali investimenti causarono anche qui problemi di liquidità. Nel frattempo il cav. Gianni Viganò, industriale veneto nel campo delle montature di occhiali, aveva riscosso nel suo ambito un notevole successo (ricordo qui il brevetto "sferoflex", geniale trovata per rendere, con una molla e una piccola sfera, le stanghette degli occhiali al tempo stesso più robuste ed elastiche), disponendo di capitali da investire, da un lato creò una catena di negozi di ottica, l'Istituto Ottico Viganò, oggi Salmoiraghi Viganò, e dall'altro, intuendo lo sviluppo che ci sarebbe stato nel campo della televisione, decise di far risorgere il marchio Allocchio Bacchini che ancora godeva di grande prestigio. Dovette tuttavia, probabilmente per evitare richieste di creditori della passata gestione, cambiare ragione sociale, e così nacque la Radio Allocchio Bacchini con sede in via Ornato, a Niguarda, all'estrema periferia di Milano. Venne chiamato il dott. Recla, progettista storico della vecchia Allocchio Bacchini, che liquidò i creditori dell'ABC chiudendo la Ditta e si mise al lavoro su un numero incredibilmente ampio di apparecchi d'uso domestico, senza trascurare la televisione a colori. In questo settore la nuova Allocchio Bacchini investì molto, come del resto fecero le principali industrie elettroniche italiane, che già cominciavano a subire la concorrenza orientale. Quando l'industria italiana fu pronta a produrre i televisori a colori, e la Rai pronta a trasmettere dopo aver speso molto per convertire gli impianti al colore, sostituendo le telecamere e tutto il resto, inspiegabilmente il governo dell'epoca ne giudicò azzardata l'introduzione in Italia, vietando alla Rai le trasmissioni a colori se non per brevi prove tecniche in orario di lavoro. E così la Radio Allocchio Bacchini fu costretta a chiudere, come quasi tutta l'industria elettronica nazionale, dissanguata da investimenti dei quali non poteva raccogliere i frutti, e scomparvero così insieme con lei nomi prestigiosi e ricchi di storia, come Geloso, Radiomarelli e tanti altri. Pochi anni dopo, quando, fatalmente, venne tolto l'embargo, noi italiani comprammo televisori provenienti dall'Olanda, dalla Germania quando non addirittura dall'Oriente. Coincidenza curiosa, oggi tanto lo stabilimento di corso Sempione che quello di via Ornato sono stati entrambi trasformati in alberghi.
vedi il più completo
http://televideo.ws/safar.html
La ditta SAFAR, Società Anonima Fabbricazione (più tardi Fabbrica)
Apparecchi Radiofonici, nacque a Milano nel 1923 per produrre inizialmente solo
cuffie radio e telefoniche, usate principalmente dalle Forze Armate italiane.
Nel 1927 espanse la sua attività e contava all'epoca 375 dipendenti.
Nel 1931 iniziò la produzione radio in grande stile ed avendo ottenuti grandi
ordinativi dall'Aeronautica e dalla Marina la ditta ampliò lo stabilimento.Nel
1933 la SAFAR produsse il "fonogoniometro a compensazione" che può
essere considerato il pri
La
IMCA -Industria Meccanica Cartonaggi e Affini,con sede in Alessandria,nasce nei
primi anni '30 come ditta produttrice di scatole di cartone e derivati.Il
proprietario,Italo Filippa,appassionato
radioamatore nel 1935 decise di trasformare l'azienda specializzandola nella
produzione di radioricevitori di gran lusso.Per la stagione 1936-'37 presento' i
modelli IF 65 ed IF 78.Nel '37-'38 presenta la serie ESAGAMMA dove riscuote un
ottimo successo e nel 1949 presenta la prima serie PANGAMMA (la famosa IF 51
Nicoletta) dotata per la prima volta della gamma FM - ricordo che le prime radio
con l'FM sono apparse sul mercato dopo il 1954 anno in cui la RAI incominciava a
fare le prime trasmissioni sperimentali in modulazione di frequenza dalle
principali citta' italiane (Torino,Milano,Roma e Napoli).Produsse apparati sia
civili che militari,altoparlanti,condensatori e anche apparecchi televisivi;
inoltre brevetto' il famoso cambio gamma a tamburo con contatti in argento
placcato oro.
Nel
1960 venne assorbita dalla Radiomarelli che produsse apparecchi marcati
IMCARADIO fino al 1962 quando chiuse definitivamente i battenti.
Oggi
la vecchia sede dell'Imcaradio e' ancora presente ed e' sede di un
magazzino,dell'ufficio tributi e del Blockbuster; da poco tempo ha anche aperto
un negozio di articoli per animali.
Forse
pochi sanno che oltre alla gloriosa IMCA RADIO ad Alessandria c'era un altro
produttore di apparecchi radio; la PEBA RADIO.
Nata
nel 1949 come tante piccole aziende piu o meno piccole o addirittura piccoli
laboratori artigianali in tutta l'Italia per una idea di Pertusati
Ferdinando,gia titolare di una attivita' ben avviata di laboratorio riparazione
radio-tv.
Punto'
anch'esso alla produzione di apparecchi di classe medio-alta con mobili in
radica di noce,palissandro o finiture in ebano quasi a scopiazzare la piu famosa
e affermata concittadina IMCA RADIO.
La
sua produzione cesso' nel 1960 e produsse,specialmente nell'ultimo periodo, le
classiche radioline da comodino in plastica della serie "NINNOLO".
Il
laboratorio riparazioni radio -tv chiuse verso la meta' degli anni '70.
Un
altra storia,purtroppo amara, di una altra azienda alessandrina dedicatasi come
tante altre al settore radiotecnico che nell'immediato dopoguerra pareva molto
fiorente.
da ARI Montegrappa
Tutto iniziò nel lontano 1919 quando il Sign. Wilhelm Wohleber, dalla natia
Heidelberg, si stabilì a Vienna fondando
una società per la fabbricazione di articoli elettrotecnici. Fu però nel 1924
che ebbe l’idea di estendere la produzione con la costruzione di radio in
parte assemblando componenti acquistati da terzi
ed in parte costruiti direttamente in azienda. I prodotti avevano nomi
diversi: AERIOLA, AEROPHON, RADIOGLOBE, RADIOLA e RADIOPA, nomi che il buon
Wilhelm non sapeva già registrati (Radiola/RCA e Aeriola/Westinghouse),
pertanto dovette in fretta cambiare il nome del marchio
al fine di sfuggire alle possibile denunce da parte delle suddette
imprese.
E fu dal 1927 che
riunificò la sua produzione sotto il nome di MINERVA.
La produzione già nel periodo 1929/30, ebbe un buon
sviluppo portando sul mercato ben 27 modelli diversi di ottima qualità per quel
tempo, tutti supportati dai relativi pezzi di ricambio per i radioriparatori.
Negli anni successivi alla crisi del 29, la società che ne fu naturalmente
coinvolta, portò la Minerva al fine di sopravvivere, a suddividere in tre
marchi la propria produzione.
Altro passo importante fu quello di mettere a disposizione
con accordi internazionali, la propria licenza di produzione, si aggiravano così
gli alti costi dei dazi doganali, facilitando l�esportazione. Nacquero
così le cooperazioni con Luigi Cozzi Dell’Aquila per l’Italia, in Svizzera
con la Titan , in Polonia con la Elektrit e pure in Francia, sebbene con poco
sviluppo, con la Giraud Frères.
L'anno 1938 poi ha
portato un grande taglio nello sviluppo delle imprese, quando Austria e la sua
intera industria furono inseriti per il "Reich tedesco". Durante i
successivi anni di guerra, la Minerva ebbe l�obbligo, come gran parte
delle industrie che fabbricavano ricevitori, di partecipare alla costruzione del
DKE (Deutscher Kleinempfänger) e del VE
(Volksempfänger), le famose radio di Hitler.
Alla fine della guerra la Minerva, come gran parte
dell’industria austriaca, era praticamente distrutta, sia l�edificio
che ospitava la produzione come il
magazzino, erano bombardati, e le materie prime ed i macchinari sequestrati.Si
erano salvati solo alcuni progetti di apparecchiature ed i relativi schemi.
Questo bastò a far ripartire la produzione e solo dopo un anno la prima radio
prodotta in serie uscì dalla fabbrica.
Nel 1950 fu una delle prime a costruire in serie ed esportare ricevitori in FM, sviluppò la costruzione di TV ed infine nel 1957 propose per prima nel mercato austriaco la radio a transistor. Nel 1969, dopo 50 anni dalla fondazione dell’azienda, il possesso del marchio Minerva è andato a Max Grundig. Questa è la fine della storia della Minerva austriaca.
Rapidamente e nonostante evidenti difficoltà, la Minerva riuscì a risalire la china, la società dopo la morte a 60 anni di Wilhelm Wohleber, venne diretta dalla moglie Elisabetta e dall’Ing. Egon Mally che riuscì a far diventare la Minerva una delle più grandi costruttrici europee di valvole.
Adesso parliamo di quella italiana e cioè della:
in seguito: S. A. Ind. "Luigi Cozzi Dell´Aquila",
Milano, via Broschi 15
Come gia detto, L'obiettivo di questa collaborazione era la
produzione su licenza di apparati Minerva in Italia e la relativa
commercializzazione. Dato che in Italia in quel periodo era presente una
industria radiotecnica ben sviluppata, l'esportazione di radioricevitori in quel
paese non risultava cosa molto semplice a causa di elevati oneri doganali.
Questo ostacolo venne superato, come del resto accade sovente anche oggi, grazie
alla produzione su licenza.
La rosa della produzione italiana dimostrabile incomincia
con gli apparati del 1937. Essi sono sia dal punto di vista circuitale sia da
quello della denominazione completamente identici a quelli prodotti a Vienna.
Addirittura gli schemi elettrici vennero assunti e riprodotti identici (con le
scritte in tedesco).
Mentre all'inizio gli apparecchi Minerva Italia erano ancora molto simili a quelli prodotti dalla casa madre, in breve tempo emerse uno sviluppo autonomo della sede milanese: valvole metalliche della serie americana, così come valvole italiane della serie Telefunken (WE**) presero il posto negli apparati, i grandi ricevitori supereterodina hanno stadi finali in controfase e due altoparlanti, una variante, questa, che in quel periodo in Austria non era molto comune. Ciò porta alla conclusione che una gran parte della componentistica veniva acquisita da forniture italiane.
Con lo scoppio della II Guerra Mondiale in Europa e con il
conseguente immediato coinvolgimento della fabbrica viennese nella produzione
bellica venne praticamente a cadere l'aiuto della casa madre, tuttavia a Milano
la produzione di apparecchi commerciali proseguì. Cosí anche subito dopo la
guerra nel 1945 vennero messi sul mercato radioricevitori per uso civile.
I molti apparati la mano tecnica della casa madre di Vienna diviene ora nuovamente riconoscibile. Anche la denominazione equivale a quella austriaca (ad esempio "447" sta per anno di produzione 1944, l'ultima cifra indica il numero di valvole, tenendo conto che una eventuale indicatrice di sintonia non veniva considerata). Dopo la guerra vennero ancora usate valvole della "Serie rossa" o di tipo metallico, ma a partire dal 1947 si passò alla serie Rimlock. I modelli degli anni dal 1950 al 1953 costituirono un'eccezione, infatti saltarono fuori nuovamente modelli con valvole a caratteristica americana, la qual cosa indica difficoltá di approvigionamento nella produzione di valvole europea, oppure, come successo contemporaneamente a Vienna, perchè la Minerva boicottò il grande produttore di valvole Philips.
Vale la regola generale che esteticamente parlando,
gli apparati prodotti dalla filiale milanese non avevano nulla a che fare
con quelli prodotti a Vienna. Il cliente italiano ha gusti diversi, con il quale
naturalmente bisognava fare i conti, la
lavorazione di finitura era letteralmente molto impegnativa, venivano utilizzate
impiallacciature in legni nobili e altri materiali (come ad esempio la pelle),
la qual cosa conferiva agli apparecchi un aspetto estetico lussuoso.
Ora ci si pone la domanda: che fine ha fatto lo
stabilimento Minerva di Milano?
Nel 1968, quando la la
proprietaria, signora Wohleber vendette la ditta Minerva, e di conseguenza
l'intera impresa a Max Grundig, questo interessó anche l'impianto di
Milano, che venne condotto da Grundig fino a circa il 1980
E poi la storia finì del tutto.
Parliamo
di una realtà industriale che ha operato in zona 4, e precisamente in viale
Brenta: la Geloso. Molti collegano il nome al famoso Gelosino che è stato
compagno di chi ha ormai i capelli brizzolati negli anni ‘60 e sul quale si
fissavano le canzoni allora in voga. Ma la Geloso non è stata solo
registratori; è stata una validissima industria italiana che ha svolto un
importante ruolo nell’economia.
Ma
ripercorriamone la storia
prima di sentire altri particolari dalla voce di due persone, legate da una
passione per questa ditta,
che abbiamo incontrato a pochi chilometri da Milano.
La Geloso nasce nel 1931 per volontà di John Geloso, figlio di emigranti in
Argentina dove nasce nel gennaio del 1901, e che a quattro anni rientra in
Italia per poi, a venti, trasferirsi negli Stati Uniti, dove consegue una laurea
e dove compie importanti studi di elettronica che culminano con la prima
trasmissione di immagini: sembra fosse la foto della moglie Franca.
John Geloso rientra in Italia nel 1931 e fonda in via Sebenico la sua società
che ben presto si amplia trasferendosi in viale Brenta 18 (dietro la
Fotomeccanica di via Oglio), traslocando in seguito nello stabilimento di
fronte, al numero 29. La Geloso acquista sempre più importanza grazie alle
capacità di John Geloso, fino a quando nel 1968 il fondatore muore. La fabbrica
non gli sopravvive molto. Quattro anni più tardi il marchio Geloso scompare
dalla scena.
Armati
di registratore e macchina fotografica abbiamo suonato alla porta di Ezio Di
Chiaro (a sinistra nella foto), prima dipendente e poi tecnico
riparatore di apparecchi Geloso, che ci aspetta assieme all’amico Franco Perna,
progettista.
Ci accoglie in un garage-magazzino dove le pareti scaffalate ospitano centinaia
di apparecchi prodotti dall’azienda di viale Brenta. E in mezzo al magazzino
un televisore in bianco e nero, perfettamente funzionante per la maniacale messa
a punto di Ezio, che risale al 1955. Da un momento all’altro ci aspettiamo
trasmetta Carosello ed invece è sintonizzato su una delle reti che affollano
l’etere.
Che cosa “faceva” la Geloso?
“Alla Geloso
si producevano tutti i componenti, escluse le valvole, per assemblare un
apparecchio. Dalla vite alla plastica della mascherina, dalle griglie degli
altoparlanti agli avvolgimenti fino alla falegnameria, che era a Lodivecchio,
dove si costruivano gli chassis che poi ospitavano i vari apparecchi. Per
fabbricare i vari componenti John Geloso, che era un grande creativo, progettava
lui stesso le macchine per produrle. Ci si faceva tutto in casa”.
La produzione Geloso era vastissima. Si andava dalle radio ai registratori ai televisori e
soprattutto le apparecchiature professionali per radio amatori. I registratori che hanno reso
famoso il nome della ditta
erano solo il 10% della produzione. Ogni “pezzo” era corredato da una sua
scheda tecnica particolareggiata con spiegazioni sul funzionamento.
Bisogna
aprire una parentesi e spiegare cosa era il “Bollettino Geloso”. Una
pubblicazione trimestrale che oltre a dare consigli di manutenzione permetteva,
anche a chi non aveva dimestichezza con la materia, di costruirsi un prodotto
Geloso. Si iniziava con la specifica dei pezzi, ognuno con il riferimento di
catalogo, e le istruzione, chiarissime, per portare a termine il lavoro.
Ovviamente Ezio Di Chiaro ha la collezione completa.
Come era organizzata la Geloso?
“Un’azienda
solida - interviene Franco Perna -, una di quelle dove potevi lavorare fino alla
pensione senza mai cambiare. Avevamo il servizio medico interno, l’attenzione
per il lavoratore era significativa. Geloso aveva una grande apertura sociale,
prima l’uomo e poi la macchina come alla Olivetti, e questo è dimostrato dal
fatto che le donne che vi lavoravano (l’80 per cento delle ottocento persone
che erano impiegate alla Geloso) potevano addirittura portarsi il figlio in
quanto era stato creato un asilo per i bambini con tanto di medico e infermiere.
Una ditta che l’8
marzo chiudeva ed era festa per tutti. Eravamo all’avanguardia a quei tempi:
avevamo la mensa interna quando ancora alla Fiat gli operai si portavano da casa
la famosa “schiscetta”. “La mensa – prosegue Franco - restava aperta
anche nel pomeriggio per consentire a chi come me faceva le scuole serali di
poter andare a scuola avendo già cenato. La Geloso era una spanna avanti”.
Gli fa eco Ezio: “Non dimentichiamo che eravamo convenzionati con le colonie
estive e mi ricordo che in estate c’erano i pullman che partivano da viale
Brenta verso il mare”.
E ancora Franco: “A fianco dello stabilimento c’era (e c’è ancora caro
Franco) una palazzina bianca a due piani. Questa era la fucina delle idee Geloso
dove al secondo piano venne creato e assemblato il primo televisore in bianco e
nero esposto alla Fiera Campionaria di Milano nel 1949. Al primo piano era
invece situato l’asilo nido e al piano terra si trovava il Cral”.
La
Geloso era famosa per i suoi amplificatori e le trombe e c’era un detto
“Ogni campanile un amplificatore” perché molte chiese si erano dotate di un
impianto di quel tipo. Quando c’era campagna elettorale le vendite salivano
perché gli amplificatori veniva montati sulle auto che andavano in giro a fare
propaganda per i vari partiti. “Un amico – aggiunge Franco – andava spesso
a San Vittore perché l’impianto usato era Geloso, così come nelle caserme. E
di questi apparecchi ce ne sono in giro ancora e ancora funzionanti”. Restando
in tema militare la Geloso ha prodotto radio
trasmittenti portatili per l’esercito e i sommergibili erano dotati di
interfono Geloso.
“Prima
si parlava di donne – interviene Ezio – e mi ricordo le lunghe file di
operaie che al mattino arrivavano da tutte le parti, soprattutto da Porta
Romana, e quelli che arrivavano con il materiale prodotto a casa. Molti alla
sera, infatti, prima di andare a casa passavano in magazzino a ritirare il
materiale che a casa utilizzavano per produrre i pezzi. Ho visto delle cantine
trasformate in signore officine e se il tempo non era sufficiente si
coinvolgevano persone del quartiere nel cosiddetto lavori conto terzi. Un
caporeparto con questi “straordinari” nel ‘62 si permise di tenere la
moglie in albergo un mese a Rimini e andare a trovarla nei fine settimana in
aereo”.
Ezio e Franco sono un fiume in piena nel raccontare fatti, aneddoti che hanno
riguardato la vita della Geloso. E lo fanno mentre ci accompagnano in un altro
locale dove restiamo impressionati. La collezione completa dei microfoni e di
tutti i modelli di registratori prodotti dalla Geloso. Un vero e proprio
santuario dove Ezio Di Chiaro se li coccola e li mantiene “tutti” in piena
efficienza.
“Ecco, questo è il primo registratore del 1949.
È
un registratore a filo, infatti al posto del nastro utilizzava un filo
magnetizzato da una testina”. Lo accende e dall’altoparlante esce la voce di
Mago Zurlì. I primi modelli a nastro, il 250 e 252, erano molto cari (160mila
lire negli anni ‘60), si passò poi al 255 e 256 con costi più contenuti e
alla fine il Gelosino che fu un successo. C’era il modello basso e quello
alto, quello con i comandi per fermarlo e farlo ripartire in modo particolare
utilizzato da chi batteva a macchina o quello che si avvia al suono della voce e
si ferma dicendo stop. Uno degli ultimi modelli della Geloso fu il registratore
con la radio
incorporata, prima di quello che utilizzava le cassette. Cosa strana, i
registratori Geloso non sono mai stati stereo.
Infine
i microfoni.
Da Sergio Biagini
“Siamo
andati ad Abbiategrasso per raccontare una storia di zona 4. Che cosa hanno in
comune questa città e la nostra zona?
L’inizio
dell’avventura della MIVAR, il maggior produttore di televisori italiani che
ha lo stabilimento ad Abbiategrasso, incomincia nel 1945, nell’allora
quartiere di Calvairate, in via Tommei. Qui Carlo Vichi, oggi ottantaquattrenne
ma ancora saldamente al timone della sua azienda, nel monolocale dove vive
produce componenti per radio e assembla piccoli apparecchi, un’attività che
alla fine della guerra aveva avuto notevole impulso grazie alla diffusione della
radio e che aveva fatto sorgere molte fabbriche italiane importanti.
Dopo
aver iniziato a lavorare in una fabbrica di chiodi per tappezzeria Carlo Vichi
mette a frutto i suoi studi da radiotecnico e… “In via Tommei, io, ovvero la
VAR (Vichi apparecchi radio) - ci racconta il suo fondatore - facevo le
radioline economiche. A quei tempi non era facile trovare la componentistica, e
allora spesso andavo alla Fiera di Senigallia per trovare qualche pezzo. In
seguito quando intuii che la componentistica era importante iniziai a produrla
da solo vendendola non solo a Milano ma anche in tutta Italia”. Una curiosità:
il rappresentante di Vichi era Marco Ponzoni il papà di Cochi Ponzoni, da
sempre in coppia con Renato Pozzetto.
La necessità di spazio per l’ampliarsi della attività si traduce nel
trasferimento in via Curtatone nel 1950 dove Carlo Vichi inizia la produzione in
proprio della componentistica delle radio.
Quando
nel 1955 compare sul mercato la modulazione di frequenza, della quale Vichi
capisce le potenzialità avendo fatto già da tempo esperimenti in tal senso,
alla VAR si iniziano a produrre le radio con questo nuovo sistema di ricezione.
Per fare questo lo spazio di via Curtatone non basta. Qui rimane la produzione
dei componenti, mentre l’assemblaggio delle radio viene fatto in un
seminterrato di via Strigelli all’angolo con piazzale Martini (dove oggi c’è
l’Oviesse n.d.r.). Nuova sede ma anche nuovo nome: anteponendo la
sigla MI al logo precedente VAR si trasforma in MIVAR.
Si
amplia anche il numero degli occupati che salgono a 200 dipendenti. “Il
fatturato mensile crebbe in maniera esponenziale – racconta Carlo Vichi -
Passai da otto a trenta milioni in poco tempo. Dalle 100 radio prodotte al mese
agli inizi, arrivai con il tempo a produrne cinque-seicentomila all’anno A
quei tempi non c’era la concorrenza asiatica come oggi che sta monopolizzando
il mercato e mettendo in crisi i produttori che ancora sopravvivono in Europa e
in Italia. Potevo vendere le mie radio a metà prezzo di quelle che arrivavano
dalla Germania. In via Strigelli eravamo in un seminterrato di una casa
all’angolo di piazzale Martini dove la produzione proseguì attivamente con
una gamma di 6 modelli di radio. Cambiava la carrozzeria ma il “motore” era
comune a tutti”.
A
questo punto sorge spontanea una domanda. Via Tommei, via Strigelli, piazzale
Martini: quali ricordi ha della zona?
“La zona 4 era un paese nella città ai miei tempi con le case popolari per lo
più abitate da operai. Un luogo dove ci si conosceva tutti e io ero conosciuto
perché quando c’era bisogno andavo a riparare le radio. Sono stato uno dei
primi attorno al 50 ad avere il telefono in duplex con un funzionario della
allora Stipel. Ricordo anche piazzale Martini senza gli alberi, tagliati durante
la guerra per fare legna, e poi rimessi finito il conflitto. Ricordo i campi
dopo viale Molise, alla fine delle case popolari dove c’erano ancora le
cascine (Carlo Vichi è nato a Lambrate nella cascina Mulino della Croce e
vissuto in via Bertolazzi vicino alla cappelletta di via Conte Rosso n.d.r.).
In via Ciceri Visconti c’era quello che chiamavamo “il bastimento” una
delle prime case non popolari con gli ascensori. E poi le case minime di via
Zama, quelle sempre in Ciceri Visconti e la cascina della Trecca, dove c’erano
le “signorine”.
La storia della MIVAR in zona 4 finisce attorno al 1960 con la grande richiesta da parte del pubblico del televisore. Ancora una volta Carlo Vichi capisce l’importanza di questo nuovo mezzo di comunicazione e la MIVAR si allontana da Milano e, dopo una breve parentesi in via Giordani, si trasferisce ad Abbiategrasso nel 1963 rimanendo l’unica ditta italiana contro i grandi gruppi stranieri. Ma questa è storia recente.
La
Saletta III del museo di Saronno
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raccoglie l'evoluzione storica dei prodotti radio
televisivi della Phonola ora Fimi-Philips ed all'esterno della stessa è
esposta una collezione di radio, registratori, giradischi, televisori ed
elettrodomestici che hanno rappresentato negli anni passati la punta
avanzata dell'applicazione tecnologica del territorio. |
Uno spazio è
destinato ai sofisticati strumenti di ricerca utilizzati dall'Ing.
Tischer, insigne ricercatore, uno dei padri della TV a colori in
Italia. |
i fratelli Marcello e Vittorio Romagnoli, nati a Bologna, si trasferirono a Faenza dove il loro cognome fu contratto in fratelli “ruma”. Quando si trasferirono Milano, negli anni’20, aprirono una piccola ditta per il commercio di materiali radioelettrici con il nome RUMA. Poi passarono a produrre parti staccate oltre alla famosa galena RUMA e produssero in seguito anche una piccola radio. Con l’avvento tecnologico degli anni ’60 cessarono l’attività, come del resto molte altre ditte italiane anche più famose
Radiomarelli
Da un comunicato d’epoca.
La Radiomarelli è sorta nell’aprile 1930 in occasione della Fiera di Milano, ove fu esposto il primo apparecchio il Musagete I che venne messo in vendita nel giugno 1930.
In soli due anni si è impossessata del mercato italiano occupando ora il primo posto fra le industrie radiofoniche italiane; ha messo sul mercato una diecina di modelli, debellando qualsiasi concorrenza ed emancipando l’Italia dall’estero.
La fabbricazione degli apparecchi Radiomarelli fu ideata dall’On. senatore Agnelli, il fondatore e Presidente della Fiat e dall’On. Benni il Presidente della Ercole Marelli & C., e tradotto in pratica dal Comm. Quintavalle, consigliere Delegato della Fabbrica Italiana Magneti Marelli.
Gli apparecchi Radiomarelli, si fabbricano infatti in uno degli stabilimenti della Magneti Marelli, occupando nel solo riparto radio, oltre 800 operai.
L’organizzazione commerciale, affiancata da tecnici competenti, si estende in tutta Italia con oltre 300 Rivendite autorizzate.
Col gennaio 1933 la Fabbrica Italiana Valvole Radioelettriche società anonima con capitale di 10 molioni ha iniziato la produzione regolare delle valvole termoioniche ed è pronta ad assicurare il regolare rifornimento di tutte le fabbriche costruttrici di apparecchi radioriceventi....Con un accordo diretto si è resa licenziataria del gruppo RCA di America, proprietario di pressochè tutti i brevetti relativi alla costruzione delle valvole termoioniche.. ..Assicuratasi in tal modo la indispensabile base scientifica si è preoccupata di attrezzare il proprio stabilimento situato in Pavia. Con sacrificio sensibile ha installato nel suo Stabilimento le macchine americane più moderne...La manodopera ha già un esperienza in quella tecnologia provenendo da una cessata fabbrica di lampadine elettriche. Per alcuni mesi si è giovata dell’assistenza di eminenti tecnici della Società americana...
Viene lanciata una serie di 11 valvole che comprende anche tipi nuovissimi, oltre i tipi convenzionali. La numerazione corrisponde a quella americana con caratteristiche corrispondenti:24A, 27,35,45,55,56,57,58,80,82. Le 55,56,57 e 58 sono le più recenti americane insieme alla raddrizzatrice 82 a vapori di mercurio... .
E’ stato inoltre fatto un accordo per la commercializzazione di tutti i tipi Radiotron e Cunningham e con la Tungsram si hanno anche i modelli a zoccolo europeo...
Le valvole prodotte saranno per intanto montate sugli apparecchi Radiomarelli, Allocchio Bacchini, Siti, Standard, Ansaldo ed appena possibile ad altri apparecchi....
Consiglieri:
senatore Giovanni Agnelli,Cesare Bacchini, Bruno Antonio Quintavalle, prof Valletta ed altri