Due parole di prefazione
Un mio ottimo e carissimo amico,
che, insieme con altri egregi, cura la
pubblicazione del periodico fiorentino
II Riposo festivo mi pregò, nell'Agosto
ultimo, di comporre un articolo popo-
lare sul Telegrafo senza fili del Mar-
coni, da inserirsi nel Riposo.
Esitai ad acconsentire per tré ra-
gioni.
Prima di tutto per la mia poca com-
petenza in siffatte materie, che ebbero
dai miei più giovani anni qualche
amorevole culto, ma poi, per necessità,
furono sacrificate ad altri studi e ad
altre occupazioni.
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Secondariamente, per non aver ve-
duto nulla, ma soltanto letto qualcosa e
ben poco della nuova invenzione. In-
fatti, oltreché agli scarsi cenni alla mano
di tutti sui giornali quotidiani, io non
avrei potuto attingere che ai due arti-
coli scientifici del prof. Ascoli, pubbli-
cati sull' Elcttricista di Roma nel Mag-
gio e nell' Agosto, e all'opuscolo sul
Telegrafo Marconi egregiamente scrit-
to, ma non abbastanza popolare, messo
fuori a Roma dal prof. Banti. Ora
ognuno sa quanto sia grande la diffe-
renza in cose fisiche fra il vedere ed
il leggere. Se così non fosse, si potreb-
bero sopprimere i gabinetti e le espe-
rienze, e contentarsi di un buon trat-
tato per saperne a sufficienza.
In terzo ed ultimo luogo mi tratte-
neva la difficoltà grande di spiegare
con efficacia a chi deve supporsi desioso
di apprendere, ma al tempo stesso quasi
digiuno della preparazione scientifica
indispensabile, una novella applica-
zione, che ha le sue radici nelle più
7
recenti e più astruse scoperte della
fisica pura. Rifarsi ab ovo, e condurre
per mano il lettore dalla esperienza
ricordata da Teofrasto e da Talete di
Mileto sulle attrazioni che l'ambra con-
fricata (ex-cpov) produce sui corpi leg-
geri, fino a dar conto dei mirabili.
effetti ottenuti dai modernissimi oscil-
latori e dai coherer o tubetti sensibili,
dei quali tanto bene approfittò il Mar-.
coni, era assolutamente impossibile. Con-
tentarsi invece di descrivere material-
mente i pezzi, per così dire, del nuovo
telegrafo e i loro movimenti, era un ri-
nunziare affatto a far conoscere il pre-
gio della scoperta, che tanta gloria
procurò al giovane scienziato'italiano,
e tanto onore alla sua e nostra dilet-
tissima patria. Non restava che aprire
una via di mezzo in una selva, se
non selvaggia, davvero molto aspra
e forte; e a tale impresa giudicavo
insufficienti le mie deboli forze.
Pur tuttavia la cortese insistenza
dell' amico e il desiderio di coope-
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rare in qualche modo alla diffusione
del suo caro periodico, che ha scopo
santo e civile, mi incoraggiarono a
tentare la prova, e buttai giù un ar-
ticolo, confidando nella indulgenza dei
lettori del Riposo. Il mio scritto vide
la luce in due puntate, nei numeri 12
e 13 del 20 Settembre e 5 Ottobre
ultimi, e fu tanto benignamente giu-
dicato, da dovere io provare la più
viva riconoscenza per i lettori bene-
voli.
Ma, come suoi dirsi, l'appetito vien
mangiando. Uscito l'articolo, allo stesso
mio amico venne in mente di trasfor-
marlo in opuscolo. Mi schermii, ma
non ci fu verso di spuntarla, e do-
vetti arrendermi. Peraltro affinchè
non sembrasse che io avessi osato
di far gemere i torchi, non già per
chi coltiva la scienza, ma neppure per
chi, amandola, può seguirla da lungi,
e prelibarne di tanto in tanto qualche
sorso, volli che questo mio scritto, sve-
stendo l'abito di articolo, rimanesse
9
qual era, senza fronzoli e senza pre-
tensioni, e solo vi misi in testa queste
due righe di necessario preambolo.
Profittai bensì della occasione per
qualche opportuno ritocco, per qualche
osservazione o notizia suggeritami da
letture posteriori, per qualche nota
che spero non inutile, e principal-
mente per l’ aggiunta di alcune figure
intercalate nel testo e della Tavola
illustrativa, che si trova in ultimo.
In questa m' industriai di esprimere
il nuovo telegrafo il più popolarmente
possibile; cioè senza una semplicità
assolutamente schematica, che sarebbe
riuscita un po' troppo sibillina, e senza
delinearlo in tutti i suoi particolari,
che, per lo scopo mio, avrebbero ge-
nerato confusione. Anzi, per mante-
nere tale equilibrio, mi permisi al-
cune omissioni e alcune piccole licenze,
che l’ occhio degli esperti saprà subito
scorgere; ma che non toccano affatto
nella sostanza il mirabile ritrovato del
fisico bolognese.
— 10 —
La Tavola illustrativa è preceduta da
una succinta spiegazione del modo di
agire delle varie parti del Telegrafo,
spiegazione che ho creduto meglio di
non intercalare nel testo, sembrandomi
che a immediato contatto col disegno
sarà per riuscire più efficace.
Dopo avere steso P articolo, che oggi
si ripubblica, mi capitarono sott' oc-
chio altri tré scritti di dotte penne
sul Telegrafo del Marconi, e precisa-
mente : uno nella Civiltà Cattolica di
Roma (fascicolo 1132 del 21 Agosto),
1' altro nella Rassegna Nazionale di
Firenze (fascicolo 385 del 1 Settem-
bre), e l’ ultimo nell' Elettricista del
1° Ottobre. Il secondo di questi arti-
coli è dell' illustre professore E. Ferrini
di Milano, col quale mi compiaccio di
essermi trovato concorde, battendo
ben più umile strada, in una certa
analogia di metodo nel preparare l'e-
sposizione della bella scoperta marco-
niana.
Gli articoli della - Civiltà e della
— 11 —
Rassegna, nonché quelli dell' Elettri-
cista, e l’ opuscolo del Banti più sopra
citati, potranno consultarsi con profitto
da chi vorrà conoscere più a fondo il
telegrafo senza fili in se stesso e nelle
sue origini. E se lo studioso ambirà
gustare sempre meglio gli splendidi
progressi della scienza elettrica, che
hanno guidato il Marconi a inventare
il suo telegrafo, legga anche la bellis-
sima opera del Righi, uscita or ora a
Bologna coi tipi dello Zanichelli, inti-
tolata : L'ottica delle oscillazioni elet-
triche.
Firenze, a dì 30 Ottobre 1897.
Presentazione.
Ogni scoperta della scienza umana è un
raggio della gloria di Dio che si manife-
sta al mondo, illuminando di pura luce il
nome dell' inventore e del paese che gli
ha dato i natali. Ben si può dir questo
anche a proposito del TELEGRAFO SENZA
FILI, trovato dal giovine fisico italiano
Guglielmo Marconi. Di tale invenzione
intendo discorrere alquanto, certo di far
cosa grata a molti del nostro popolo, che
non avranno avuto agio di procurarsene
in altro modo una cognizione sufficiente-
mente esatta. Non farò uso del linguag-
gio scientifico, e perciò sarò costretto a tra-
lasciare alcune considerazioni e alcuni
particolari, importanti in se stessi, ma
non indispensabili per il mio scopo.
II
Che cosa è un telegrafo ? ~ Cent' anni fa si tele-
grafava senza fili — Duello a morte fra il tele-
grafo a fili e il telegrafo senza fili; questo ri-
mane ucciso.
Ciò premesso, in che cosa consiste il
telegrafo senza fili?
Per meglio comprenderlo sarà bene
rispondere avanti ad un' altra domanda
più semplice : in che cosa consiste un
telegrafo ? Un telegrafo non è altro che
una coppia di apparecchi, situati in luo-
ghi diversi, in uno dei quali si fanno dei
segnali, che immediatamente si riprodu-
cono nel!' altro. Da ciò si arguisce che
fra il primo e il secondo apparecchio ne-
cessariamente dovrà esserci un legame
materiale, altrimenti la trasmissione dei
segnali sarebbe impossibile. Ciò si ve-
rifica in tutti i telegrafi, anche in quello
— 16 —
senza fìli del Marconi, come vedremo
fra poco.
Infatti che necessità c' è che il lega-
me sia un filo ? I primi telegrafi pra-
tici, che furono inventati cent' anni fa,
cioè i telegrafi ottici di Chappe, erano
appunto telegrafi senza filo. In pochi
minuti (venti appena da Telone a Pa-
rigi) una notizia correva attraverso la
Francia, e il messaggero era la luce,
rapido quanto l'elettrico. Ma la luce non
si poteva aver sempre a sufficienza, e
quel telegrafo era schiavo delle vicende
atmosferiche. Era sempre inattivo la
notte e nei giorni nebbiosi, anzi spesso
d'inverno poteva adoprarsi per poco più
di tré ore su ventiquattro. Nei giornali
d' allora non era raro il caso di legger
soltanto le prime frasi di un telegramma
importante, troncato a mezzo da un me-
lanconico e inesorabile: interrotto dalla
nebbia I ma i nostri buoni vecchi non se
ne lagnavano, e pareva loro naturale di
aspettare a domani.
Intanto si manifestava in Italia il genio
di Volta, e la sua classica lotta col Gal-
vani dette al mondo la pila. (fig. 1) La cor-
rente elettrica era trovata, quella corrente
che, incanalata
in un filo me-
tallico, percor-
re in un secon-
do centinaia di
migliaia di chi-
lometri. Si pen-
sò di affidare ad
essa il telegra-
to, e tosto pul-
lularono gli in-
ventori di ap-
parecchi tele-
grafici a cor-
rente elettrica.
Così avvenne
che il telegrafo
elettrico a fili
uccise il tele-
grafo ottico
senza fili, che .
non poteva
competergli.
L'America ci
dette quindi
l'apparato Mor-
se, il più pratico di tutti, ed anche oggi il
più comune, e il mondo fu tutto coperto
— 18 —
da una fitta rete di linee telegrafiche. (1)
D'allora in poi l'ingegno dei fisici si
volse tutto a perfezionare gli apparecchi
e ad inventarne dei nuovi; cosi si ebbero
i telegrafi stampanti, i telegrafi chimici, i
telegrafi scriventi, capaci di trasmettere
una firma e anche un disegno, ecc. Si
giunse perfino a trovar modo di mandare
simultaneamente sopra un filo più tele-
grammi, si traversarono con canapi con-
duttori i mari e gli oceani; ma nessuno
pensò mai che si potesse sopprimer la
linea, cioè la comunicazione palpabile e
continua attuata con un filo fra chi
manda e chi riceve un segnale telegra-
fico. In questo ardito concepimento e
nella valentia ammirabile con la quale lo
pose ad effetto consiste appunto il merito
glorioso e bello del nostro Marconi.
(1) Attualmente le reti telegrafiche del
mondo hanno uno sviluppo di circa otto mi-
lioni di chilometri, vale a dire più di quanto
sarebbe necessario per avere venti fili telegra-
fici fra la terra e la luna.
III.
Nasce una speranza di resurrezione per il telegrafo
senza fili — Un telegrafo che occupa troppo posto.
E ben vero che prima del Marconi al-
cuni tentativi si fecero, profittando dei fe-
nomeni di induzione; ma non si era sulla
buona via e fallirono. Cosa è l'induzione ?
sarà utile spiegarlo in poche parole, per-
ché ciò aiuterà ad intendere altre cose
da dirsi in seguito.
Si abbiano due fili metallici paralleli
separati fra loro da una breve distan-
za. Questi fìli non si toccano in alcun
punto, e nemmeno comunicano fra loro
per mezzo di altri corpi che condu-
cano bene 1' elettricità. Ora, se in uno di
questi si fa passare la corrente di una
pila, e poi si toglie la corrente, par-
rebbe che nell' altro non si dovesse os-
servare alcun fenomeno elettrico. Invece
non è così: una corrente istantanea si
manifesta nel secondo filo quando nel
primo vien lanciata la corrente della
pila, e un' altra corrente, pure istantanea,
vi apparisce, quando quella della pila
viene interrotta. L'esperienza riesce me-
glio facendo uso di fili avvolti su due
rocchetti (fig. 2). Il rocchetto più pic-
colo, che è quello percorso dalla cor-
rente della pila, si può introdurre ed
estrarre a mano dal vuoto interno che
si vede nel rocchetto maggiore. Il filo
di questo comunica pei due capi con un
galvanomeiro, apparecchio contenente
un ago magnetico, come quello delle
bussole, destinato a perdere la tramon-
tana, cioè a deviare dalla posizione di
nord a sud, appena gli passi vicina una
corrente elettrica. Questo appunto ac-
cade ogni volta che il rocchetto piccolo
viene introdotto in quello grande, e ciò
significa che nel filo del rocchetto mag-
giore è passata una corrente, la quale
senza dubbio non ha avuto origine
dalla pila. Ma dopo qualche oscillazione
l'ago ritorna a fermarsi sulla posizione
solita (nord a sud) e ciò indica che ha
sentito una corrente di brevissima durata.
Allora levando fuori dal grande il roc-
chetto piccolo, l’ago del galvanometro
da capo si muove vivacemente, e tosto
si ferma. Indizio di una nuova corrente
apparita e sparita in un attimo nel filo
del rocchetto maggiore. Queste correnti
istantanee del secondo filo, o rocchetto,
che non derivano dalla pila, si chiamano
correnti d'induzione, e sono vere tra-
smissioni a disianza delle azioni elettri-
che. Ma però a distanza molto breve. Coi
migliori e più forti apparecchi entro po-
chi metri non si percepiscono più, per
cui non escono dalla cerchia delle espe-
rienze di gabinetto. .
Nondimeno in Inghilterra si pensò di
profittarne per inviare segnali telegra-
fici attraverso a un braccio di mare,
in cui non era possibile immergere uno
dei soliti canapi. Ebbene: invece di sem-
plici fili si adoprarono sulle due rive
enormi matasse del diametro, quasi in-
credibile, di 180 metri, per avere delle
segnalazioni, e si ebbero. Ma la distanza
superata era appena di 800 metri! ossia
i due apparecchi insieme occupavano uno
spazio quasi eguale alla metà della
distanza percorsa dai segnali. Un simile
telegrafo senza fili non era pratico dav-
vero!
Bisognava abbandonare le correnti co-
muni, scegliendo altrove tra le manife-
stazioni dell' energia elettrica, che i re-
centi studi hanno posto sotto mano agli
scienziati. Il Marconi fu felice, ed entrò
valorosamente nella strada che doveva.
condurlo alla mèta.
IV.
II sole trema ! — Enormi vantaggi che ce ne ven-
gono -— Una materia maravigliosa -— Si scuopre
che anche l'elettricità può tremare, e come! -~
II telegrafo senza fili sta per resuscitare davvero.
Il Thomson ed Enrico Hertz (questi
morto giovanissimo nel 1894, e da non
confondersi con Cornelio Herz, elettrici-
sta anch' esso, ma più noto per i famosi
disastri panamistici) avevano scoperto,
prodotto e misurato le onde elettriche,
che da Hertz vennero chiamate anche
onde hertziane. Cosa sono queste onde?
Il sole ci invia raggi luminosi e calo-
rifici : tutti lo sanno e lo provano. Ci
invia anche raggi chimici, che manife- .
stano la loro azione, per citare un esem-
pio, sopra le lastre sensibili del fotografo.
Come giungono dal sole alla terra queste
diverse energie? Si credeva una volta che
_ 26 _
fossero veramente fluidi traversanti lo
spazio vuoto in linea retta, quasi come
1' acqua di un fiume che corre al mare.
Ma non è cosi. Per molte ragioni, che
qui sarebbe impossibile esporre, si do-
vette ammettere che dal sole non parte
alcun fluido; ma soltanto vibrazioni enor-
memente rapide, e di natura diversa; al-
cune delle quali producono in noi la sen-
sazione della luce, altre quella del calore,
altre si palesano come agenti chimici
validissimi. Sono. dunque moti ondulato-
ri, tremolii speciali, quelli che si propa-
gano fra il sole e noi, senza che avvenga
alcun trasporto materiale di fluidi.
Per intendere come ciò sia possibile,'
si ponga mente al suono, che arriva ai
nostri orecchi dalla campana senza che
l'aria messa in vibrazione si sposti come
quando tira il vento; e si rammenti il fatto,
più palpabile ancora, delle onde circolari
prodotte da un sasso che cada nell'acqua,
le quali si propagano senza che 1'acqua
corra in tutti i sensi come si vedon correr
le onde. Se infatti sulla superficie liquida
vi sono dei piccoli galleggianti, noi li ve-
diamo salire e scendere ad ogni passaggio
di onda, ma non mai essere trascinati
27
fuori del loro posto; da ciò si rende
evidente che le onde camminano, ma
1' acqua no.
Ma ogni moto ondulatorio verrebbe
meno, ove mancasse qualsiasi mezzo ma-
teriale. Il nulla non può vibrare. Dun-
que lo spazio fra il sole e noi (come si
potrebbe, anzi si deve aggiungere: fra
gli astri più lontani del firmamento e
noi) è riempito da qualcosa, e a questo
qualcosa, intravisto anche dagli antichi
filosofi, fu dato il nome di etere cosmico.
L'ipotesi della esistenza di quest' etere
può dirsi oggi trasformata in certezza,
poiché le prove della sua presenza si
accumulano ogni giorno di più.
L' etere cosmico è la più maravigliosa
delle materie create. Immenso, riempie
l'universo fino ai suoi estremi confini;
sottilissimo, penetra in tutti i corpi; in-
visibile, gli rende visibili portando la luce;
imponderabile, è forse causa del loro peso
provocandone le mutue attrazioni; elasti-
cissimo, è capace di vibrare con rapidità
che supera ogni umana immaginazione.
Ora, se 1' etere vibrando si rende atto
a trasportare a distanze immense 1' ener-
gia calorifica, l'energia luminosa, ecc.,
— 28 —
era lecito supporre che non dovesse ri-
fiutare quesito stesso servigio all' elet-
trico. Vi fu chi si pose attorno a questa
bella ricerca di fìsica, e Thomson ebbe
il merito di accertarsi che anche 1' elet-
tricità, in certe date condizioni, produ-
ceva onde eteree proprie, propagatesi
nello spazio. Cosi venne a scoprirsi un
nuovo orizzonte. L' energia elettrica per
essere trasportata da un luogo all' altro
non aveva più bisogno imprescindibile
di scorrere prigioniera in un filo, e non
erano più segnati ai suoi movimenti li-
beri fuori dei conduttori i limiti, pratica.
mente ristrettissimi, dell' induzione.
Dopo Thomson, Hertz studiò le onde
elettriche, ne determinò l'ampiezza, la
frequenza, la velocità di propagazione, e
costruì gli apparecchi adatti per produrle.
Come era da aspettarsi, le onde elettri-
che si manifestarono buone sorelle delle
onde luminose, e capaci di gareggiare con
loro nella rapidità di propagazione attra-
verso lo spazio (1).
(1) Nelle onde di qualunque specie detono
distinguersi principalmente : la direziono, la
frequenza, la lunghezza e la velocità.
— 29 —
Ecco dunque l'etere cosmico veicolo
impareggiabile d'energia elettrica, ca-
pace in conseguenza di sostituirsi ai fili
telegrafici, e di offrire quel legame ma-
teriale, di cui più sopra fu parlato, che
è indispensabile fra l'apparecchio mit-
tente e l’ apparecchio ricevente di un
Se la particella vibrante si muove avanti e
indietro nel senso in cui si propaga l'onda, si ha
la vibrazione longitudinale; se invece si muo-
ve in su e in giù perpendicolarmente al pro-
pagarsi dell'onda, la vibrazione è trasversale
Questo quanto alla direzione. Sono per esem-
pio longitudinali le onde sonore dell' aria,
trasversali invece le onde dell' acqua sta-
gnante percossa. Le luminose dell' etere sono
trasversali.
Per la frequenza cioè per il numero di onde
che si producono in un minuto secondo, le
differenze sono enormi. La nota la 3 normale
del suono ha 435 vibrazioni per secondo. Mi-
gliaia e migliaia ne hanno i suoni più acuti.
L' etere vibra 440 bilioni di volte per darci
la sensazione della luce rossa, ed oltre 1000
bilioni per la luce violetta. Le onde hertziane
hanno pure una frequenza altissima. Quelle
adottate dal Marconi per il suo telegrafo,
secondo il Ferrini, vibrano 250 milioni di
volte in un secondo.
— 30 .—
qualsiasi telegrafo. Il Marconi vide la pos-
sibilità di siffatta sostituzione, e in questo
appunto risiede 1' anima del suo geniale
ritrovato. Ogni rimanente non è che
l'elegante soluzione di un problema fisi-
co-meccanico, che però gli fa molto onore,
per la semplicità dei mezzi da. lui messi
in opera.
Non meno variabile è la lunghezza, cioè
lo spazio su cui si estende un' onda com-
pleta. Per esempio; mezzo millesimo di mil-
limetro in media per le onde luminose, e da
alcuni metri fino a pochi centimetri per le
onde elettriche. Nel telegrafo Marconi la
lunghezza prescelta sembra che sia di 1m 20,
al dir del Ferrini ; ma forse non è sempre
la stessa.
Finalmente la velocità, cioè lo spazio per-
corso in un secondo, è poca nel suono, ap-
pena 340 metri ; ma sale all’ enorme cifra
di 300 mila chilometri tanto per le onde della
luce, che per quelle dell' elettrico.
V.
Arnesi per far tremare l'elettricità — Marconì ne
approfitta per i! suo telegrafo — Limatura ca-
pricciosa e modo di gastigarla.
Che cosa occorreva principalmente ai
Marconi per tradurre in atto la sua idea?
Nel telegrafo mittente aveva bisogno di
un sistema per produrre e lanciare nello
spazio le onde hertziane, e nel telegrafo
ricevente di un sistema atto a raccoglier-
le e a renderle sensibili. Per ogni altra
bisogna potevano sostanzialmente basta-
re gli apparecchi conosciuti, e infatti il
Marconi non ha perduto il suo tempo
a mettere insieme una nuova macchina
telegrafica, ma si è servito semplicemen-
te di un comunissimo apparecchio Morse.
Abbiamo detto che Hertz costruì gli
apparecchi adatti a produrre onde elet-
triche eteree. A questi apparecchi fu da-
to il nome di oscillatori. Come sempre,
altri fisici costruirono apparecchi simili,
perfezionando o modificando quello pri-
mitivo. Il Marconi, certamente dopo lun-
ghe prove e studi, preferì 1'oscillatore
Righi, come il più adatto per il suo caso.
Questo oscillatore consiste in due piccole
sferette di metallo tersissimo, immerse
in una sostanza oleosa, cattiva condut-
trice dell' elettrico. Tali sferette sono vi-
cinissime, ma non si toccano. Facendo
scoccare fra loro una scintilla elettrica,
questa, per quanto sembri unica, resulta
composta di milioni e milioni di scin-
tille , che si succedono regolarmente in
molto meno di un milionesimo di minuto
secondo. A ciascuna di queste scintille cor-
risponde la produzione di un onda hert-
ziana, la quale si diffonde nell’ etere cir-
costante, come le onde sonore si diffon-
dono nell'aria (1). Il Marconi ha aggiunto
All’ oscillatore un filo metallico, che va
a disporsi verticalmente sopra un' asta,
e con questo mezzo ha ottenuto una più
perfetta ed energica diffusione delle onde
eteree (1).
(1) Perché una scarica elettrica, che si ma-
nifesta ai nostri occhi sotto forma di scin-
tilla, produca moti ondulatori, e non moti
incomposti e irregolari, è necessario che l'ap-
parecchio che la produce, ossia 1' oscillatore,
soddisfi a certe condizioni di forma e di di-
mensione, che Thomson fino dal 1857 riusci
a dimostrare col calcolo, ed Hertz attuò per
il primo coi suoi famosi apparecchi. Nella
fig. 3 è rappresentato col numero 3
un oscillatore Hertz. Sono due asticelle, cia-
scuna delle quali porta una grossa sfera alla
estremità esterna, e una piccola sferetta a
quella, interna. Le due sferette si trovano
a breve e determinata distanza, e tutto è
preparato in guisa, che una scintilla elettrica
scoccante fra loro produce una scarica oscil-
latoria, e non già una scarica comune. La
scintilla è provocata dal rocchetto 2, di cui si
parlerà fra poco, che a sua volta riceve la
corrente dalla pila 1.
L'Ascoli dimostra, nella sua dotta me-
moria pubblicata sull' « Elettricista » del-
l'Agosto, che la lunghezza del filo verticale
adottato dal Marconi ha una influenza gran-
dissima sulla lunghezza della ondulazione
hertziana. Con un calcolo approssimativo,
che dichiara inferiore al vero, fa conoscere
che la lunghezza di mezza onda dovrebbe
essere di 23 metri per un filo lungo 10 metri,
e di 91 metri per un filo lungo 40. Soggiunge
Questo è il sistema composto
— 34 —
dal Marconi per produrre e inviare nello
spazio le onde elettriche. Vediamo ades-
so quello ideato per riceverle nell' altra
stazione.
Il fisico Branly trovò una singolare
proprietà delle limature metalliche ri-
spetto alle correnti elettriche. Se si pren-
de (fig. 3) un tubetto di vetro 4, pieno di
limatura, e si adattano due turaccioli
alle estremità, attraversati dai capi di due
fili metallici, sembrerebbe che, facendo
passare nei fili la corrente di una pila 5,
questa non dovesse trovare ostacoli. In-
fatti dove finisce un filo comincia la li-
matura, che è pur metallica, e dopo que-
sta la corrente potrebbe riprendere la via
ordinaria del filo. Ma le cose non vanno
(1)poi che 1" efficacia dell' apparecchio Marconi
(a parità di altre circostanze) non si altera,
se la distanza fra la stazione mittente e la
stazione ricevente varia in ragione diretta
della lunghezza del filo. Il che è quanto dire
che per telegrafare a maggior distanza si deve
accrescere l'altezza del filo verticale. Il Mar-
coni, per trasmettere segnali a breve di-
stanza, adopra piccole aste di 3 metri. Per
esperienze all'aperto ed a molti chilometri, è
giunto fino a 30 metri di altezza ed anche più.
35
cosi. La corrente trova nella limatura un
ostacolo tanto grave, che quasi sempre
ne impedisce
.assolutamen-
tè il passag-
gio, e l'ago
del galvano-
metro 6, in-
tercalato nel
circuito, di-
mostra que-
sto fatto mau-
tenendosi im-
mobile. La li-
matura dun-
que resiste e-
nergicamente
alla corrente
elettrica. Ma
se invece del-
la corrente di
una pila si fan-
no giungre nel filo le onde .
hertziane dif-
fuse dall'oscil-
latore 3, la scena cambia subito. Le onde
passano liberamente nel tubo, e, quel che
-- 36 —
è più da stupire, rendono atta la limatura
a lasciar fluire in se stessa la corrente
della pila, cui avanti si ribellava. Ce lo
dice l’ ago del galvanometro, che perde
subito la tramontana, e non la riacquista
neppure se cessano le onde. La limatura
è proprio domata! Basta peraltro urtare,
anche legger mente, il tubetto, perché la
limatura riprenda i suoi diritti e chiuda
tosto l'adito alla corrente. II tubo Branly
è dunque sensibile alle onde elettriche,
e le sue qualità preziose lo fecero sce-
gliere dal Marconi per il suo telegrafo
ricevente.
È giusto peraltro osservare che il Mar-
coni ha modificato molto il tubo Branly
che abbiamo descritto, e lo ha reso un
organo elettrico perfetto ed estremamen-
te delicato. Ma il suo modo di agire è
sempre lo stesso. Al tubo ha poi aggiunto
un filo ed un'asta verticale, come per
l'oscillatore della stazione di. partenza (1).
(1) Nelle esperienze eseguite dal Marconi
alla Spezia, nel Luglio ultimo, i fili verticali
delle due stazioni erano di rame con fascia-
tura di gomma, e finivano in alto con una
lastra quadrata di zinco, di centim. 40 di lato.
— 37 —
Ecco dunque trovati dal Marconi gli
organi essenziali per il suo telegrafo,
che, collegati molto ingegnosamente alle
altre parti di un comune apparecchio
Morse, lo hanno felicemente condotto a
risolvere il suo grande problema.
VI.
Il telegrafo senza fili resuscitato — Attraverso allo
spazio si spedisce e si riceve un telegramma —
Evviva Marconi!
Vediamo come ha fatto il Marconi in
ciascuna stazione, omettendo, come già
si disse, tutto ciò che non è strettamente
necessario per l'intelligenza del sistema.
Nella stazione mittente vi è prima di
tutto un tasto Morse, come quelli che
chiunque ha veduto negli uffici telegrafici.
(fig. 4 pag. 40) Toccando il tasto, come per
produrre un segnale, viene a mandarsi la
corrente di una pila in un rocchetto Ruhm-
korff, apparecchio ben noto (fig. 5 pag. 42)
che non descriviamo, atto a produrre forti
scintille. Queste scoccano fra le palle del-
1' oscillatore Righi, comunicante col roc
chetto per mezzo di due fili che fanno
capo ai morsetti, A e B, e danno origine
- 40 ~
ad un nucleo di onde hertziane. (1) II
filo dell' asta verticale raccoglie dall'oscil-
latore queste onde, e le affida all’ etere
cosmico dello spazio circostante, sul quale
si diffondono in tutti i sensi, senza limite
di distanza teoricamente assegnabile. E
chiaro che se il contatto del tasto Morse
fu brevissimo, il nucleo delle onde elet-
(1) Lo scotimento elettrico, da trasformar-
si in moto ondulatorio, deve esser tanto più
energico, quanto maggiore è la distanza fra
le due stazioni. Il prof. Ferrini dice che
« bastano scintille di 15 centimetri se la di-
« stanza non supera i 6 chilometri; la si
« porta fino a 50 centimetri per le distanze
maggiori. » Tutto ciò si ha da intendere
nel senso che si debbono scegliere rocchetti,
secondo le distanze, atti a dare nell'aria le
suddette lunghezze di scintilla. Ma le scin-
tille che poi si producono sono sempre bre-
vissime: infatti nell'apparecchio Marconi, fra
le palle dell'oscillatore Righi, che scaricano
la corrente del rocchetto, vi è appena il di-
stacco di un millimetro. Trovo poi nella Ci-
viltà Cattolica questa notizia : « Neanche per
« comunicare tra Londra e Nuova York, o al-
« tré città al di là dell'Oceano, non si richiede-
« rebbe un radiatore di dimensioni impossi-
« bili. Il Marconi è d'avviso che basterebbe
« all' uopo una macchina di 15 metri qua-
« drati (?) e una forza di 50 o 60 cavalli. »
„ 41 —
triche sarà relativamente piccolo, e il
contrario accadrà se il contatto fu più o
meno prolungato. Si intende da tutti che
a questa diversa durata di emissione
possono farsi corrispondere i punti e le
linee del comune alfabeto telegrafico.
Ecco dunque spedito il telegramma: ve-
diamo adesso come può essere ricevuto
senza il solito collegamento del filo fra
i due apparecchi.
Sappiamo che la stazione ricevente ha
pure un' asta verticale, provvista di un
filo comunicante col bizzarrissimo tu-
betto Branly. Le onde hertziane del te-
legramma spedito incontrano, nel loro
diffondersi l'asta ricevente, ne invadono
il filo, entrano nel tubetto, e, come fu
spiegato, passano liberamente attraverso
la limatura. Al tempo stesso rendono
atta la limatura ad esser percorsa da
una corrente comune, la quale è subito
fornita da una pila, anzi da due gruppi
di pile preparati e disposti come nelle
solite stazioni. Queste correnti comuni agi-
scono sui pezzi di un apparato Morse, (fig. 6)
e sopra la solita striscia di carta apparisce
agli occhi stupefatti il segnale inviato
SENZA FILI dalla stazione mittente! Non
— 44 —
è bello, nella sua splendida semplicità,
questo giunco di forze fisiche? Evviva il
Marconi che ha procurato a sé stesso e
all'Italia una soddisfazione, così pura!
Ma per ricevere un nuovo segnale bi-
sogna render pronto il tubetto Branly a
sentire le successive ondate eteree, o
più precisamente bisogna impedire che
la limatura, resa conduttrice dalle onde,
rimanga tale; poiché altrimenti la cor-
rente della pila continuerebbe a passare,
e sulla striscia di carta si imprimerebbe
una lunga linea in luogo dei segnali al-
fabetici. A ciò serve un piccolo martel-
letto, che batte sul vetro ad ogni cessar
di segnale, martelletto che è mosso auto-
maticamente dagli altri organi. Il lieve
urto disturba la limatura, e impedisce il
passaggio della corrente comune, finché
non arrivano nuove onde hertziane a ri-
mettere in moto tutto il sistema.
Questo è il telegrafo senza fili quale
si possiede oggi, e che già ha fatto par-
lar di sé tutto il mondo.
Il Marconi inventò il suo telegrafo in
Italia, lo perfezionò e lo costruì a Lon-
dra, e lo portò in patria, richiestone dal
R. Governo. Fece. molte esperienze a
— 45 —
Roma e poscia a Spezia, sempre con
resultati felicissimi. Adesso è tornato in
Inghilterra per far nuovi studi e per
ampliare quanto sarà possibile, aiutato
dal suo acuto ingegno, e dai mezzi che
la fama acquistata gli ha già procurato,
la pratica applicazione di un ritrovato
cosi importante.
Qui sarebbe il punto di fermarsi, aven-
do esposto quant' era necessario per in-
tendere sufficientemente e per apprezzare
la cospicua invenzione del nostro Mar-
coni. Ma ormai sarà utile trattenersi an-
cora un poco, per rispondere a qualche
obiezione e per frenare alcuni irreflessivi
entusiasmi.
VII.
I telegrammi del Marconi potranno passare mari
e monti?
Si dice da alcuni: Finché si tratta di
mandar telegrammi fra due stazioni si-
tuate in rasa pianura, ed anche attra-
verso i mari, si intende bene come può
agire il telegrafo Marconi; ma se fra le
due stazioni vi sono fabbriche, colline,
catene di montagne, come potrà avvenire
che le onde eteree non si infrangano con-
tro questi ostacoli? come faranno a pas-
sare?
Eppure passano abbastanza bene: ba-
sterebbe il responso secco, ma eloquente,
della esperienza per attenuare, se non per
distruggere, una tale obiezione. In Roma
attraverso a molti muri, volte, soffitti,
si son sempre ottenuti i segnali; e a Spe-
zia, fra terra e nave, collocando anche
— 48 —
gli apparecchi nelle parti più riposte di
questa, e interponendo isole e promon-
tori, si son potuti spedire e ricevere i
telegrammi. Resulta peraltro dalla rela-
zione sulle esperienze di Spezia, pubbli-
cata in riassunto dall' Elcttricista, dell'Ot-
tobre, che gli ostacoli naturali possono
impedire completamente la trasmissione,
almeno quando gli apparecchi sono
molto vicini agli ostacoli stessi; come
per esempio accadde in un esperimento
in cui l'apparecchio mittente e il rice-
vente erano distanti fra loro più di 7
chilometri, e fra mezzo, a meno di 3 chi-
lometri dall'apparecchio ricevente, tro-
vavasi una collina dell'altezza di 100 a 150
metri. Invece l'aver calato F apparecchio
nell'interno della nave fin nella stiva,
cioè qualche metro sotto il livello del-
l'acqua, recò minori disturbi, e i segnali
si ricevettero o perfettamente, o almeno
con sufficiente chiarezza. E sì che si te-
meva molto a motivo delle masse metal-
lidie circostanti, come: ossatura della
nave, corazza, artiglierie, macchine, e
del considerevole strato liquido circo-
stante.
Bisogna considerare che l'etere co-
— 49 —
smico penetra e ..invade tutti i corpi, i
quali, anche i più compatti, possono pa-
ragonarsi, grossolanamente parlando, a
spugne con larghi buchi rispetto ad esso.
Nulla da stupire dunque se le sue vi-
brazioni possono in molti casi attraver-
sarli. Da ciò nasce, parlando della luce,
la cosi detta trasparenza, posseduta dal
cristallo, dall'acqua, dall'aria, ecc. Gli al-
tri corpi, che hanno la proprietà opposta
di spengere le vibrazioni luminose, e sono
i più, si dicono opachi. Anche per le
onde elettriche vi sono corpi trasparenti
ed opachi. Il vetro, il granito, la terra
sono trasparenti; l'acqua e i metalli, an-
che in fogli sottilissimi, sono sempre opa-
chi. In generale, osserva l'Ascoli, i corpi
che isolano l'elettricità sono trasparenti
ai suoi raggi, mentre i conduttori sono
opachi. Bisogna bensì avvertire che la
trasparenza e l'opacità non sono mai
assolute. Ciò si verifica anche per la luce.
L'oro, per esempio, corpo fra i più opa-
chi, ridotto in foglioline tenuissime dalla
mazza del battiloro, diviene trasparente
pei raggi luminosi verdi; e l'acqua, la
più limpida, a poche centinaia di metri
di profondità non lascia passare un rag-
-- 50 -
gio di sole; per cui regna nel fondo dei
mari l'oscurità più completa.
Ma al tempo stesso noi vediamo che,
nonostante l'opacità o l'imperfetta traspa-
renza dei corpi che fanno ostacolo, la
luce, in seguito a innumerevoli rifles-
sioni e rifrazioni, penetra in quantità
sufficiente anche dove direttamente non
potrebbe giungere.
Questi giuochi di trasparenza e di opa-
cità dei corpi, e di arrendevolezza delle
onde luminose, .possono farci intendere,
per analogia, come si comportano pro-
babilmente quelle elettriche rispetto agli
ostacoli. Ma gli studii fatti fino ad ora
sono troppo scarsi, e solo le future espe-
rienze potranno farci conoscere il giusto
valore degli ostacoli nella trasmissione
dei segnali.
Un' ultima osservazione su questo ar-
gomento importantissimo. Poco sopra ho
notato in corsivo che negli esperimenti
di Spezia gli ostacoli molto vicini agli
apparecchi manifestaronsi i più imper-
meabili ai raggi elettrici. Si intende trat-
tarsi di ostacoli di molta mole, nei quali
anche una certa trasparenza elettrica può
essere attenuata o distrutta dal grande
— 51 —
spessore. Una giudiziosa scelta dei punti,
ove si dovranno piantare le stazioni tele-
grafiche Marconi, avrà dunque molta im-
portanza per vincere la difficoltà degli
ostacoli. In un modo analogo noi collochia-
mo la lampada vicino al paralume se si
vuole impedire la diffusione dei raggi
luminosi in una camera, e togliamo via
il paralume, o almeno lo mettiamo il più.
lontano possibile, se desideriamo che la
stanza si illumini bene.
VIII.
C' è pericolo che i telegrammi del Marconi possano
esser rubati o presi a volo?
Un' altra obiezione è fatta da chi sup-
pone che potrà facilmente carpirsi il
segreto telegrafico, disponendo altri ap-
parecchi riceventi nel raggio di azione
di un apparecchio mittente. Ciò in mas-
sima è vero. Ma la difficoltà è stata pron-
tamente sormontata. Le onde hertziane,
come le onde sonore, hanno, per cosi di-
re, un ritmo. Se presso un pianoforte
aperto si fa vibrare un diapason che
manda una data nota, si osserva che si
pongono a vibrare e gli rispondono quelle
sole corde del piano, che possono dare la
stessa nota. Le altre restano mute. Lo
stesso accade per le onde elettriche. Se
un apparecchio mittente è capace di pro-
durre oscillazioni eteree di una data ìun-
— 54 —
ghezza e di una data frequenza, l'appa-
recchio ricevente bisogna che sia preparato
a ripetere onde identiche, altrimenti non
si muove, non risponde, o risponde male.
Esperienze fatte in proposito hanno con-
fermato questo fatto importante. Occorre
dunque che i due apparecchi sieno fra
loro accordati, perché i segnali possano
riceversi. Questo accordamento, o regi-
strazione, sembra abbastanza facile, e sic-
come può variarsi all'infinito, offre un
mezzo pratico per la conservazione del
segreto, anche senza ricorrere al linguag-
gio convenzionale o cifrato.
IX
Ma i telegrammi del Marconi potranno scappare
dal mondo?
Una terza difficoltà, molto acuta, vien
fatta da chi considera che, se è vero
che il propagarsi delle onde elettriche
avviene come quello delle onde luminose,
la rotondila della terra può essere un
ostacolo invincibile alla trasmissione dei
telegrammi marconiani a lunghe distanze.
Per verità questo intoppo è grave. Niun
dubbio, da quanto fino ad oggi la scienza
c' insegna, che le onde luminose e le onde
elettriche non sieno sostanzialmente un
fenomeno identico, e che la loro mag-
gior differenza stia nella lunghezza, im-
mensamente piccola per le prime, e mi-
surabile a centimetri e a metri per le
seconde. Ora i raggi luminosi non si
propagano che in linea retta, ed è ap-
punto a motivo della rotondità della terra
56
che perdiamo la luce del sole al tramonto.
Se la stessa propagazione rettilinea è as-
solutamente necessaria per le radiazioni
elettriche, è chiaro che fra due punti
del globo molto lontani non si potrà
corrispondere col sistema Marconi, poi-
ché sarebbe necessario che, nell'inter-
vallo, i raggi elettrici si piegassero ad
arco, mentre al contrario sfuggiranno
in linea retta per lo spazio. Gli apparec-
chi del Marconi non hanno ancora tal
portata da verificare materialmente que-
sta difficoltà; ma se anche dovranno in-
capparvi, ciò non accadrà che per distanze
molto notevoli, e il pregio dell'inven-
zione resterà sempre grandissimo. Sem-
bra tuttavia che non si debba disperare
affatto di rimediarvi, e ciò per due motivi.
Anzitutto le onde hertziane prodotte
dal Marconi si sono già dimostrate po-
tenti a sufficienza contro ostacoli di colline
e di promontori. (1) O non potrebbe acca-
(1) E ciò malgrado che nelle esperienze
fatte fin qui si sia dovuto ricorrere spesso
a degli adattamenti provvisori, o compensi,
che ne indebolivano l'efficacia, e si sieno
adoprati apparecchi destinati forse a sembrar
giocattoli in paragone di quelli futuri.
dere lo stesso, aumentandone la forza, con-
tro l'ostacolo di un segmento della gobba
terrestre? Questa ipotesi non sembra del
tutto da escludersi, per quanto sia molto
ardita.
la secondo luogo, lo stesso comportarsi
dei raggi elettrici in tutto e per tut-
to come i raggi luminosi, offrirebbe un
mezzo di girare la difficoltà. Sappiamo
infatti che i raggi elettrici possono ri-
flettersi, concentrarsi, diffondersi, ecc.,
come si fa di quelli luminosi, per mezzo
di specchi, lenti, prismi, ed altri simili
ordigni di fìsica di appropriate materie.
Disponendo dunque a convenienti di-
stanze alcuni prismi trasparenti all'e-
lettrico (per esempio di resina o di zolfo)
che ne piegassero alquanto i raggi, do-
vrebbe accadere che potesse molto al-
lungarsi la portata della loro propaga-
zione sul globo, obbligandoli, fra prisma
e prisma, a lambire tangenzialmente la
curva della superfìcie terrestre. È una
idea come un'altra; ma se valesse qual-
cosa, il problema, almeno per la terra fer-
ma e per le isole non troppo discoste, sa-
rebbe, non dico risoluto, ma da studiarsi.
A.
Il telegrafo Marconi potrà diventare un arnese di-
namitardo ?
Esaminiamo per ultimo una obiezio-
ne, che ha suscitato una certa trema-
rella, dalla quale, a quanto si dice, non
è rimasto immune lo stesso Marconi.
Per dar fuoco alle mine si adoprano
le micele o le capsule a percussione, e
ognuno sa come son fatte. Ma, da molti
anni a questa parte, per le mine più gros-
se e più pericolose si adopra invece la
scintilla elettrica, molto più obbediente
e di effetto più sicuro. Basta far scoc-
care una scintilla, sia pur minuscola,
nella massa di una materia esplosi va, per
ottener subito lo scoppio.
Ciò inteso, veniamo al grano. Se nel
telegrafo Marconi al posto del tubetto
Branìy (quello della limatura capricciosa)
- 60 -.
si metta una lastrina di vetro inargen-
tata a specchio, in modo che le due estre-
mità della fogliolina d' argento comuni-
chino coi soliti fili, e si aspettino le onde
hertziane, queste arriveranno e passe-
ranno senza che noi possiamo accorgerci
di nulla. Ma se con un temperino si fac-
cia un taglio trasversale a metà della ar-
gentatura, in modo da dividerla in due
porzioni staccate e vicinissime, allora il
passaggio delle onde sarà svelato da mi-
nutissime scintille scoccanti in quella sot-
tile fessura. Supponiamo altresì che a con-
tatto della lastrina si trovi della dinamite,
e allora si potrà esser certi che, non solo
l’occhio, ma anche l'orecchio e l’osso del
collo saranno avvertiti del passaggio delle
onde. Alla larga da esperienze così per-
suasive !
Ma, si dirà, il telegrafo Marconi ha il
tubetto e non la lastrina, e non contiene
cartucce di dinamite, o altre simili baz-
zecole; dunque come potrà esservi peri-
colo ? L'osservazione è giusta ; e infatti il
nostro telegrafo non potrebbe esser mai
il reo principale di simili delitti, ma bensì
il complico necessario. Rammentiamoci
che le onde hertziane si diffondono per
- 61 -
tutti i versi, e che soltanto una picco-
lissima frazioncelìa di quelle inviate, in-
veste l'asta della stazione ricevente. Tutte
le altre viaggiano per conto proprio, e si
disperdono. Mettiamo che nella loro corsa
sfrenata si imbattano in due pezzi metal-
lici, per esempio in due punte di chiodi
di una cassa di cariche esplosi ve, e che
queste punte sieno cosi vicine e disposte
in modo che fra loro possa scoccare una
scintilla; e allora uno scoppio tremendo
sarà la conseguenza inevitabile dell'invio
di un segnale Marconi. Quale arnese pre-
zioso pei nikilisti e pei dinamitardi sa-
rebbe il nuovo telegrafo ! Ne si potrebbe
pensare a premunirsi da tali disastri met-
tendo al sicuro le sostanze esplosive. Do-
ve nasconderle, sapendo che le vibrazioni
etereo possono penetrare per tutto ? Per
esempio: usando, in guerra marittima o
terrestre, un trasmettitore Marconi, po-
trebbe sperarsi di far saltare in aria, sen-
za alcuna difesa possibile, le navi e le pol-
veriere nemiche. Ma come preservare
quelle nazionali o le alleate, se lo stesso
scotimento etereo potrebbe incendiarle
tutte? -
A domande così formidabili la risposta
che per ora si può dare, è molto sem-
plice. Il fenomeno micidiale è possibile,
ma un pericolo vero e reale, grazie a Dio,
non pare che esista. Giacché non si può
chiamar pericoloso un fatto difficilissimo
a sopraggiungere, ed anzi fino ad oggi
non mai accaduto. Le onde hertziane, di
cui si serve il Marconi, si conoscono e
si producono da anni, e mai hanno dato
origine a sciagure. Lo stesso Marconi
ha sperimentato il suo telegrafo nel
golfo di Spezia sulla corazzata San Mar-
tino, armata di tutto punto e con la San-
ta Barbara ben provvista, in mezzo a un
formicolio d'altre navi da guerra, e a poca
distanza da polveriere terrestri regurgi-
tanti di balistite e di polveri. Eppure nulla,
assolutamente nulla di sinistro vi è stato
da lamentare. Queste prove sono molto
confortanti, e fanno sperare che l'obie-
zione qui esaminata debba risolversi in
uno spauracchio, di cui presto non si par-
lerà più.
E utile infine di sapere che anche il
fulmine, non sempre, ma neppur di rado,
sviluppa scariche oscillanti. Siamo dun-
que in un caso gigantesco, ma dello
stesso genere di quelli prodotti con l'ap-
— 63 --
parecchio Marconi. Dico gigantesco, per-
ché se al Marconi bastano oggi scintille di
50 centimetri (e per quanto si debbano ac-
crescere, non si potrà allungarle molto) (1)
cosa pensare delle scintille fulminee, che
sovente si misurano a chilometri? Quali
poderosi ed estesi scotimenti dovranno
esse imprimere all'etere? Eppure, in tanti
secoli, la storia delle imprese di questa
meteora non registra alcun fatto di esplo-
sioni avvenute in corpi che non sieno stati
direttamente colpiti; esplosioni che oggi si
potrebbero spiegare con le scintille hert-
ziane accese dal fulmine, fuori della strada
da lui realmente percorsa. Anche questo
argomento negativo, offerto dalla meteo-
rologia, deve giovare molto a rassicu-
rarci.
(1) Vedasi Nota a pag. 40 sulla lunghezza
delle scintille.
XI.
Si potrà telegrafare nella Luna ? — Speranze ra-
gionevoli.
E adesso passiamo agli entusiasmi.
Presto, senza fili, potremo dunque tele-
grafare a Parigi, a Pietrobnrgo, in Ame-
rica, nella Cina! Ma certamente, senza
dubbio; anche nella Luna, se vi garba,
o entusiasti carissimi ! E non crediate
che si voglia canzonarvi. L'etere cosmico
non manca di qui alla Luna, e in conse-
guenza è teoricamente possibile di tele-
grafarvi col sistema Marconi.Tutto sta che
anche ai lunicoli venga questa idea, ed
abbiano.... un Marconi a loro disposizione!
Fuori di celia, contentiamoci di quello
che si è ottenuto, e speriamo bene per
l'avvenire; ma non esageriamo. Le espe-
rienze di Spezia hanno mostrato che,
a tutt'oggi, si può telegrafare senza filo
— 66 —
fino a 18 (diciotto) chilometri di distan-
za, ed è già un ottimo resultato. Dalla
Germania ci giungono notizie fresche fre-
sche che il nostro telegrafo ha conqui-
stato altri 3 chilometri. Siamo dunque
a ventuno o si cammina ! Ed occorre os-
servare che quest' ultime esperienze eb-
bero luogo in condizioni atmosferiche
sfavorevoli, in assenza dell'inventore, e
fra gente, i Tedeschi, che non è davvero
di facile contentatura. E poi di Marconi
studia sempre, ed è giovine; altri valenti
fisici, avuto in mano il bandolo della
matassa, vi lavorano attorno. Le spe-
ranze dunque di resultati anche maggiori
sono ben fondate; ma fin dove si potrà
arrivare nessuno può dirlo (1). Chi stese
nelle cupe gallerie delle miniere inglesi
i primi cento metri di binario non pre-
vedeva davvero l'importanza della sua
piccola invenzione. Ma la ferrovia era
trovata, ed oggi l'intiera terra civile è
coperta da una fitta rete di rotaie!
(1) Si vedano le note a pag. 83 e 40 che par-
lano di alcuni dei modi fino ad oggi cono-
sciuti per accrescere la potenza dell'appa-
recchio Marconi.
— 67 —
Credo però che il telegrafo resuscitato
dal Marconi uon prenderà vendetta del suo
antico rivale, tanto più che oggi ambedue
son figli della medesima madre, l'elettri-
cità. Vivranno dunque da buoni fratelli,
e si divideranno il lavoro, che non sarà
poco. Così le ferrovie non hanno ucciso
le strade ordinarie, ne le biciclette spen-
geranno mai la razza equina. Intanto si
stanno provvedendo di apparecchi Mar-
coni le maggiori navi della nostra flotta,
perché possano corrispondere fra loro e
con le stazioni di terra, e si studia, anche
in Italia, come modificare alcune parti
dei meccanismi usati fin qui, fra le quali
il ricevitore, che per la loro forma at-
tuale riuscirebbero a bordo poco pratiche.
Spiegazione sommaria del modo di agire del telegrafo
senza fili Marconi. Vedi tavola annessa
Per inviare un segnale telegrafico si
abbassa il Tasto o Manipolatore Morse A
nella stazione mittente. Così vien chiuso
il circuito della Pila B, e una corrente
elettrica viene lanciata nel primo filo, o
filo induttore, del Rocchetto di Ruhm-
horff C. Subito si sveglia nel secondo filo
del rocchetto una corrente elettrica indotta
a forte tensione, la quale giunge alle sfe-
rette c e b poste di fianco alla bacinella di
pergamena, che contiene le due sfere più
grandi e e d dell' Oscillatore Righi D
immerse in olio di vasellina. La corrente
indotta si scarica scintillando nei tré
intervalli che separano le sferette esterne
ed interne dell'Oscillatore, e produce gli
impulsi eterei, che danno origine alle
onde hertziane. Queste, dal filo inferiore,
che muove dalla sferetta b, vengono tra-
sportate sull' Asta verticale E, da cui si
diffondono nello spazio circostante in
_ '73 _
tutti i sensi. La sferetta a è messa in
comunicazione con la terra per mezzo
del pettine e.
Le onde hertziane, nel loro libero
espandersi, incontrano l’Asta verticale F
della stazione ricevente, che, per mezzo
del proprio filo, le guida nel Tubetto di
Branly G perfezionato dal Marconi. At-
traversano la limatura metallica conte-
nuta nel mezzo del tubo, e vanno a sca-
ricarsi a terra discendendo nel pettine
. (1) Intanto la limatura del tubetto, or-
dinariamente impermeabile alle correnti
comuni, diventa conduttrice quando sente
le onde hertziane, e cosi da passaggio alla
corrente della Pila H, che agisce sul-
F elettro-calamità del Soccorritore I (Re-
lais). L'ancora di questo viene attratta,
e, per mezzo del contatto mobile g, chiude
il circuito della Batteria di pile K. Tosto
la loro corrente più energica viene lan.
ciata nella elettrocalamita h dell’appa-
(') Vi è divergenza di opinioni sulla neces-
sità di contatti a terra e ed /; stabiliti dal
Marconi in ciascuna stazione. Sembra certo
che anche sopprimendoli il telegrafo agisce,
ma il Marconi assicura che sono di molta
utilità.
recchio Morse L (Apparecchio ricevente)
la cui ancora, collegata alla leva oscil-
lante i, solleva la punta scrivente k. Il
segnale viene cosi ad imprimersi sulla
striscia di carta l, la quale scorre fra
i due rull m, posti in rotazione inversa
dal movimento di orologeria contenuto
nella cassa n. Secondo la durata della
corrente, che dipende da chi maneggia
il tasto nella stazione mittente, si otten-
gono i punti o le linee del noto alfabeto
convenzionale. Sul circuito della batteria
K è innestato, in o e p, un secondo cir-
cuito, che prende una porzione della cor-
rente e la guida all'elettrocalamita q_ del
Marteitetto M; dal quale, ad ogni passag-
gio di segnale, viene percosso automa-
ticamente il tubo di Branly, per disordi-
narne la limatura e renderla atta a sen-
tire una successiva impressione.
Come nelle precedenti pagine, anche
nel disegno sono state omesse per sem-
plicità varie parti del telegrafo Marconi,
importanti ed anche necessariee, quali:
le resistenze e le capacità elettriche, il
condensatore, ecc; che non erano indi-
spensabili per la popolare spiegazione
del sistema.